News 13 Giu 2020

75 giorni da cappellano al Covid Center

È stato don Luca Fantini, cappellano del nostro Ateneo, a portare conforto spirituale ai pazienti del nostro Covid Center. Ecco la sua testimonianza,

Durante i 75 giorni della sua apertura, tra le stanze del nostro Covid Center si muoveva anche don Luca Fantini, cappellano del nostro Ateneo, per portare conforto spirituale ai pazienti. Ecco la sua testimonianza, scritta per il periodico Frammenti di Luce.

È il 24 maggio: festeggiamo la domenica dell’Ascensione. Ma nel nostro Centro Covid oggi festeggiamo anche un’altra “ascensione”: un nostro paziente, arrivato la domenica delle Palme da Bergamo in condizioni disperate, torna a casa guarito in elicottero. E anche noi rimaniamo a guardare il cielo, seguendo il volo che segna il lieto fine di una delle tante storie del nostro Covid Center.

Quando lo abbiamo aperto, due mesi fa, mi sono messo a disposizione per seguirne i pazienti. Mi sembrava doveroso offrire loro questo servizio, ma allo stesso tempo ero molto perplesso: come si sarebbe potuto creare un rapporto personale con la barriera di tutti i dispositivi di protezione? Come avrei potuto portare conforto e aiuto spirituale se non era nemmeno possibile mostrare un sorriso o uno sguardo, nascosti da mascherine e occhiali appannati? O farmi riconoscere come sacerdote, indistinguibile da tutti gli altri operatori del reparto dietro i nostri DPI? L’esperienza mi ha mostrato che questi timori erano del tutto infondati. I pazienti, soprattutto all’inizio, erano così soli e spaventati che cercavano per primi un contatto personale e, salvo pochissime eccezioni, un conforto spirituale.

È iniziato così un “contagio” positivo: andavo a trovare un paziente già conosciuto e anche quello appena ricoverato nel letto accanto chiedeva di parlare, di pregare insieme o di ricevere i Sacramenti. Nel frattempo avevo anche trovato il modo per farmi riconoscere: con lo scotch rosso che adoperiamo nel reparto faccio ogni mattina una croce sulla tuta bianca di protezione. Il segno è inequivocabile e permette anche qualche battuta per alleviare la tensione: qualcuno mi ha detto che sembravo un cavaliere templare…

Con il passare dei giorni si è creato un clima di confidenza del tutto inatteso, favorito anche dal nostro personale sanitario, che ha messo tutta la sua umanità al servizio dei pazienti ed è stato molto attento a tutte le loro esigenze, comprese quelle spirituali. In queste circostanze si sono creati molti bei rapporti e di conseguenza gli episodi da raccontare sono numerosi. Ne riporto solo uno che mi ha toccato in modo particolare.

In una occasione stavo dando la Comunione a un paziente che andavo a trovare da vari giorni e in quel momento un nuovo paziente molto anziano, che fino a quel momento era rimasto assopito nel letto accanto, si è svegliato e, vedendo l’Eucarestia, è scoppiato a piangere per la commozione e mi ha chiesto di poterLa ricevere anche lui. Gli ho dato l’Ostia e, prima di consumarla, l’ha presa con grande emozione e l’ha baciata. Poi mi ha chiesto un Rosario da cui non si è più separato: lo teneva in mano o attorno al casco per la ventilazione. È spirato dopo qualche giorno: l’ho accompagnato l’ultimo giorno pregando il Rosario a voce alta accanto a lui affidandolo alla Regina del Cielo, a cui era così legato.

Grazie a Dio sono comunque di gran lunga più numerosi i pazienti che sono guariti e sono tornati a casa, ma con il desiderio di continuare a coltivare una Fede (ri)scoperta in queste settimane e anche di continuare a sentirci. Con un paio siamo anche d’accordo di fare insieme il Cammino di Santiago… Sarà certamente un ottimo segno di avvenuta guarigione!

 

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