Una malattia cronica, autoimmune e curabile

Il Lupus Eritematoso Sistemico è una malattia cronica, autoimmune, non contagiosa né infettiva, che colpisce maggiormente le donne con una prevalenza di 9 malati su 10, soprattutto quando esse sono in età fertile. Quando la malattia compare prima dei 18 anni, i medici usano invece nomi diversi quali LES pediatrico, LES giovanile e LES a insorgenza infantile. Secondo studi condotti negli Stati Uniti, esistono più malati di Lupus Eritematoso Sistemico che di paralisi cerebrale, anemia falciforme, sclerosi multipla e fibrosi cistica messe insieme. In Italia vengono diagnosticati 1500-2000 casi ogni anno.

Il Lupus può causare disturbi in vari organi e tessuti del corpo, ma interessa soprattutto la pelle, le articolazioni, i reni e il sangue. Tra i sintomi più comuni ci sono dolori articolari, facile affaticabilità, febbre, manifestazioni cutanee, perdita di capelli, anemia, aborti spontanei, nefriti, pleuriti, pericarditi, disturbi neurologici o psichiatrici, ma l’andamento della malattia è diverso da paziente a paziente, irregolare e imprevedibile, con “inspiegabili” remissioni o riacutizzazioni.

L’importanza delle cure per controllare il Lupus

I meccanismi precisi che provocano l’insorgere del Lupus non sono del tutto noti, ma sembra che fattori di origine esterna e/o interna – anche ormonali – possano svolgere un ruolo importante nello scatenare o modificare il processo in individui già predisposti geneticamente.

Fino agli anni ’50, il Lupus Eritematoso Sistemico era considerato una malattia rara, che faceva paura e spesso aveva un esito fatale. Oggi, grazie al miglioramento delle conoscenze e delle tecniche diagnostiche, è invece una malattia facilmente diagnosticabile e la sopravvivenza di chi ne è affetto è paragonabile a quella di tutta la popolazione. Fondamentale è che la malattia venga seguita attentamente, anche negli eventuali periodi di remissione, e che i farmaci vengano assunti correttamente per controllarne il decorso.

Il primo ambulatorio di transizione Lupus in Italia

Nell’ambito della Lupus Clinic – la cui responsabile è la dott.ssa Marta Vadacca, dell’Unità Operativa di Immunoreumatologia della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, diretta dal prof. Roberto Giacomelli – è nato il primo ambulatorio di transizione Lupus italiano. Finanziato dall’associazione Gruppo LES Italiano ODV, desidera curare e seguire in modo specifico questi pazienti anche e soprattutto nella delicata fase di transizione dall’adolescenza all’età adulta.

Come spiega la dott.ssa Livia Quintiliani, psicologa clinica presso il Servizio di Psicologia Clinica della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, “spesso ragazze e ragazzi abbandonano le cure a causa di un disagio psicologico insorto proprio negli anni della transizione verso l’età adulta. L’adolescenza di per sé rappresenta un momento delicato in cui il compito evolutivo del ragazzo è quello di creare un senso di sé autonomo. L’esordio della malattia può avere l’effetto di frustrare le aspettative di autonomia e indipendenza, per cui diventa difficile per l’adolescente svincolarsi dai genitori, così come per questi ultimi non è semplice ‘lasciar andare’ i propri figli”.

“Per questo – prosegue la dott.ssa Quintiliani – è importante la presa in carico dei pazienti anche dal punto di vista psicologico, in primis per aiutare i ragazzi a creare uno spazio mentale di contenimento delle emozioni legate alla malattia, ma anche per seguire genitori e figli nelle fasi più delicate di una patologia che tra l’altro, essendo sensibile al sole, determina limiti importanti per una vita ‘normale’ soprattutto in età giovanile”.

L’assistenza dei pazienti della Lupus Clinic della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico si estende quindi anche alla sfera psicologica, per permettere loro di vivere la quotidianità nel modo più “normale” possibile e aiutarli a non sentirsi “diversi”.

Tre auto messe a disposizione del nostro Hospice per le cure palliative Insieme nella cura per l’assistenza domiciliare. A firmare il gesto di attenzione ai più fragili e ai loro familiari sono state tre significative realtà del territorio in cui si trova il nostro Policlinico Universitario. Roma Cares, Carpoint e Ald Automotive hanno scelto ancora una volta di stare al nostro fianco per aiutare i nostri operatori sanitari a raggiungere i pazienti presso le loro abitazioni dislocate nei quartieri di Roma e nei comuni del Lazio.

Una Ford Fiesta l’auto messa a disposizione da Carpoint in comodato d’uso per 6 mesi, mentre Ald Automotive ha concesso alla struttura una Lexus UX Hybrid Business Sport in noleggio gratuito per 24 mesi.

Roma Cares, infine, ha donato una Hyundai bianca lo scorso 15 giugno. In quest’occasione, il Ceo di AsRoma Guido Fienga e il Club Manager Vito Scala hanno simbolicamente consegnato le chiavi dell’automobile ibrida al Direttore Generale del nostro Policlinico Universitario Paolo Sormani, alla responsabile dell’Hospice per le cure palliative Maria Grazia De Marinis e al responsabile clinico Giuseppe Casale. “Siamo felici di poter mettere a disposizione dell’Università Campus Bio-Medico di Roma una vettura al servizio dei cittadini e di dare così il nostro contributo nel complesso sistema di assistenza ai malati che usufruiscono delle cure palliative. A tal proposito ringrazio Hyundai per aver affiancato la Roma e Roma Cares in questa iniziativa con una delle sue vetture elettriche di ultima generazione” ha dichiarato l’amministratore delegato di AsRoma Guido Fienga, presente alla consegna delle chiavi.

Siamo uniti dal desiderio di prenderci cura dei più deboli” ha commentato Paolo Sormani. Da oggi, medici e infermieri saranno ancora più vicini a chi ha bisogno di attenzioni specifiche in un momento particolarmente delicato della propria vita: le autovettura messe a nostra disposizione ci permettono di porre il paziente sempre più al centro della nostra azione di cura”.

 

Sostieni anche tu il nostro Hospice

Se il Centro vaccinale del nostro Policlinico Universitario ha già potuto vaccinare decine di migliaia di persone, è anche grazie a realtà come Acea, che hanno deciso di sostenere la struttura attiva dal 1° febbraio 2021 presso il Centro per la Salute dell’Anziano (CESA), in via Álvaro del Portillo 5.

Per celebrare l’impegno di responsabilità sociale della società, lo scorso 13 luglio è stata scoperta una targa commemorativa, alla presenza dell’Amministratore delegato di Acea Giuseppe Gola e del Direttore Generale del Policlinico Universitario Paolo Sormani.

“Con questo gesto vogliamo esprimere la nostra gratitudine nei confronti del gruppo Acea, che ha supportato le attività vaccinali in cui siamo impegnati da mesi”, ha detto l’ing. Sormani durante la cerimonia. “Uniti dal comune intento di migliorare la vita dei cittadini e del territorio offrendo servizi essenziali, attraverso una gestione efficiente e sostenibile delle risorse, condividiamo l’obiettivo più attuale e urgente dell’uscita dalla pandemia”.

Ma c’è di più. Il gruppo Acea ha infatti deciso di finanziare anche una borsa di dottorato in Scienze e Ingegneria per l’Uomo e per l’Ambiente, un progetto sul tema “Fattori ambientali, microbiota e integrità della barriera intestinale nella salute e malattia”.

 

Sostieni anche tu il Centro vaccinale

È stato realizzato grazie a IGT Lottery S.p.A. un box radiografico presente nel nostro Pronto Soccorso, struttura che sta per riprendere il suo regolare funzionamento dopo essere stata convertita per la seconda volta, da novembre 2020, in Covid Center. Il box è costituito da due radiografici digitali, di cui uno fisso e uno portatile, e avrà un ruolo fondamentale per il primo inquadramento dei pazienti che si presenteranno in condizioni di emergenza.

Ma c’è di più. Da sempre attenta ai bisogni locali e nazionali e impegnata quindi a sostenere la realizzazione di importanti iniziative a forte impatto sociale, IGT Lottery S.p.A. ha scelto inoltre di sostenere lo svolgimento di un percorso formativo biennale destinato
a studenti e specializzandi presso il Pronto Soccorso stesso.

“Mai come ora stiamo crescendo”

Numerosi gli studenti e gli specializzandi che da novembre 2020 hanno avuto l’opportunità di svolgere attività assistenziale in prima persona presso i reparti di Medicina e Subintensiva Covid. Come racconta una partecipante, Carilia Celesti, per tutti “è stata ed è tuttora un’esperienza che ha i caratteri dello straordinario: mai come in questi mesi stiamo crescendo, arricchendoci di tanto vissuto professionale e umano. Stiamo imparando a gestire con prontezza e sicurezza sempre maggiore i pazienti e le loro emergenze e urgenze. Siamo certi che queste competenze saranno una solida base per la nostra professione futura. Anche dal punto di vista umano abbiamo ricevuto molto. Chi soffre si sta mettendo nelle nostre mani: siamo chiamati a rispondere a qualsiasi necessità materiale nel momento del bisogno, a fare da tramite tra il paziente e i suoi cari. Tocca a noi alleviare la paura e la sofferenza di chi è lì in reparto e di chi è a casa ad aspettare. Mai come in questo momento la forza e la determinazione ci arrivano dai pazienti stessi, dal loro farsi concretezza nel nostro lavoro e servizio”.

“Un’esperienza che ha stravolto la mia vita”

Per lo specializzando Gaspare Biondo, “l’esperienza al Covid Center ha cambiato completamente la mia prospettiva nell’approccio ai malati critici. Abbiamo curato persone sane, spesso giovani, quasi tutti senza comorbidità rilevanti, eppure ridotte in fin di vita dal virus. Spesso ci siamo sentiti inermi, ma abbiamo sempre cercato, in scienza e coscienza, di fare sempre il bene del paziente, spingendoci fino ai trattamenti rianimatori più avanzati, come l’ossigenazione extracorporea, che prima era una terapia di nicchia e invece oggi ha rappresentato per moti pazienti l’unica chance di sopravvivenza. Questa esperienza ha stravolto la mia vita sia sul lato professionale che sul lato umano: sono cresciuto professionalmente, ho acquisito conoscenze e capacità tecniche che altrove non avrei potuto cogliere, e soprattutto non così velocemente; mi sono confrontato con il dramma quotidiano dei malati invisibili, lontani dai loro affetti più cari. Sono grato di esser stato parte di questo esercito silenzioso che, con poche armi a disposizione, ha lottato e continua a lottare per strappare esseri umani alla morte“.

Definire le basi genetiche del disturbo di spettro autistico

La ricerca genetica rappresenta un elemento strategico nel campo medico. È una disciplina di base ad alta tecnologia, con applicabilità immediata alla salute umana: “dal paziente al laboratorio” e viceversa. È inoltre trasversale: costituisce un denominatore comune in varie specialità mediche, dalla psichiatria all’oncologia, dalla pediatria alla ginecologia, dalla neurologia all’ortopedia.

La nostra Unità di Ricerca di Genetica Medica e Medicina Molecolare, guidata dalla prof.ssa Fiorella Gurrieri, è nata nel 2020 ed è attualmente impegnata in progetti a breve e lungo termine che indagano le basi genetiche ed epigenetiche della disabilità umana, sia essa fisica (malattie), intellettiva (sindromi rare) o sociale (disturbi psichiatrici). Ad esempio, le patologie neuropsichiatriche sia dell’adulto sia del bambino, le malattie reumatiche, osteoarticolari, immunitarie, oncologiche e metaboliche: le varie forme di disabilità interessano tra l’1-2% e il 5-10% della popolazione. In particolare, l’Unità di Ricerca è attualmente impegnata a definire le basi genetiche del disturbo di spettro autistico.

Sperimentare farmaci efficaci per correggere il gene difettoso

Per la definizione delle cause genetiche dei disturbi dello spettro autistico, lo strumento di ricerca più appropriato è costituito dall’analisi dell’esoma, ovvero delle porzioni codificanti dei 20 mila geni umani. Una metodica che ha accelerato l’identificazione di nuovi geni responsabili di patologia, risolvendo problematiche medico-diagnostiche e dando informazioni utili alle famiglie dei pazienti. Conoscere le cause genetiche dei disturbi dello spettro autistico sarebbe quindi il primo passo verso la definizione di modelli di malattia e la sperimentazione di farmaci efficaci, che abbiano come bersaglio la correzione del gene difettoso. Ci aiuti a raggiungere questo obiettivo?

Educare alla ricerca traslazionale

Ma c’è di più. La nostra Unità di Ricerca desidera infatti svolgere anche attività formative trasversali rispetto a diverse aree specialistiche, per educare alla ricerca traslazionale studenti di medicina, medici specializzandi, biologi, biotecnologi, tecnici di laboratorio e operatori sanitari: solo l’integrazione dei saperi garantisce percorsi di formazione e ricerca efficaci e di vera utilità per il paziente. 

L’attivazione di percorsi universitari strutturati è fondamentale per formare in maniera adeguata e innovativa alla genetica moderna. Per garantire un anno o l’intero percorso di studi a studenti e ricercatori meritevoli, puoi istituire borse di studio a copertura parziale o totale. Ecco quanto puoi donare:

  • assegno di ricerca – circa 25.000 euro/anno
  • dottorato triennale di ricerca – circa 75.000 euro/anno
  • contratto di ricerca – circa 25.000 euro/anno.

Sosteniamo i pazienti con disturbi di spettro autistico

Creare percorsi assistenziali dedicati a beneficio dei pazienti con disturbi di spettro autistico e delle loro famiglie è l’obiettivo finale di tutte le attività promosse dalla nostra Unità di Ricerca di Genetica Medica. Ci aiuti a sostenere il loro impegno? Ti ringraziamo fin d’ora per il supporto che potrai darci.

 

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Una malattia genetica rara che colpisce i bambini

La malattia di Alexander è una malattia neurodegenerativa ultrarara di origine genetica che, nella sua forma più grave, colpisce i bambini nei primi anni di vita. I suoi sintomi – macrocefalia, spasticità, atassia, crisi convulsive e ritardi nello sviluppo psicomotorio – si presentano tra i 6 mesi e i 2 anni d’età e spesso conducono rapidamente al decesso. Rientra tra le leucodistrofie, caratterizzate dall’alterazione e dalla progressiva degradazione della guaina protettrice dei nervi, la mielina. Proprio il suo deterioramento provoca l’interruzione delle trasmissioni dei comandi neuronali e di conseguenza la compromissione del sistema nervoso.

Ciò che oggi è noto è che il meccanismo di degenerazione della mielina è collegato alla presenza di una mutazione in un particolare gene. Come questa modifica causi la malattia di Alexander è tuttavia una questione ancora oggi oggetto di studio.

Trovare una cura per la vita dei bambini

L’obiettivo dello studio del nostro ricercatore Emanuele Mauri – dell’Unità di Ricerca di Ingegneria Tissutale e Chimica per l’Ingegneria, diretta dalla prof.ssa Marcella Trombetta – in collaborazione con il dr. Vasco Meneghini dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) e il dr. Marco Peviani dell’Università di Pavia, è contribuire allo sviluppo di un approccio terapeutico per la malattia di Alexander, e salvaguardare la vita dei bambini che ne sono affetti.

Una promettente strategia, sviluppata dal team di Milano, sembra essere quella del gene editing: intervenire direttamente sul gene stesso, per correggerne la mutazione o “spegnerne” la funzionalità (metodo CRISP/Cas9). Una soluzione possibile grazie alla nanotecnologia promossa da UCBM, che permetterebbe di intrappolare il DNA o l’RNA destinato a intervenire sul gene mutato, e di trasportarlo attraverso la membrana cellulare all’interno delle cellule stesse, per poi rilasciarlo dove può svolgere la sua azione di rimpiazzo o disattivazione della sequenza genetica danneggiata.

Ci aiuti?

Per far questo, però, è necessario un analizzatore delle dimensioni di particella, apparecchiatura che permette di recuperare e studiare le caratteristiche chimico-fisiche di ogni nanoparticella sintetizzata, per verificarne il potenziale e poi procedere ai test. Un particle size analyzer costa tra i 45 mila e i 50 mila euro e permetterebbe di scoprire nuove terapie basate sulla nanotecnologia e destinate a curare i bambini affetti da questa malattia.

Ma non solo. Questa apparecchiatura sarebbe di aiuto anche per l’applicazione delle nanoparticelle in altri scenari critici che stanno ancora cercando una cura risolutiva. Uno di questi è quello dei tumori celebrali e in particolare del glioblastoma multiforme che, una volta diagnosticato, permette una sopravvivenza di circa 15 mesi. L’utilizzo di nanoparticelle, visualizzabili tramite risonanza magnetica o PET e in grado di trasportare molecole chemioterapiche solo nelle cellule tumorali, preservando quelle sane, rappresenterebbe un nuovo approccio terapeutico per i tumori cerebrali ispirato ai principi della medicina di precisione.

Ci aiuti ad acquistare questa importante apparecchiatura?

 

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Il nostro Pronto Soccorso è pronto ad accogliere!

La sua inaugurazione può essere seguita in diretta sul nostro canale YouTube, sulla piattaforma Zoom (massimo 1000 utenti) e sui monitor installati nell’edificio PRABB e nella hall del nostro Policlinico Universitario.

La struttura inizierà ad accogliere i pazienti alle ore 18.

Anche la passione per Fortnite può sostenere la lotta contro il Coronavirus. Basta che i suoi giocatori decidano di entrare nella modalità Salva il mondo nella realtà, e non solo virtuale.

Nel videogioco, la modalità Salva il mondo è ambientata in una terra post-apocalittica, dove l’improvvisa apparizione di una tempesta mondiale ha fatto scomparire il 98% della popolazione. Nella realtà, una giocata in diretta live su YouTube contribuirà a salvare la vita a tante persone, in un tempo in cui la loro salute è minata dalla circolazione del virus.

È così che Zerbiian, nome d’arte di un giovanissimo youtuber con 280 mila iscritti al proprio canale, ha potuto sostenere il nostro Covid Center. Un traguardo raggiunto grazie alle migliaia di fan che la sera di giovedì 2 aprile hanno assistito alla sua partita live di beneficenza e hanno risposto al suo invito, donando in diretta 2.221,92 euro.

Tante le ricompense pensate da Zerbiian ai top donatori, a partire da felpe e magliette. Ma la ricompensa più grande sarà sapere che, anche grazie a loro, il nostro Covid Center potrà curare tante persone.

Come hanno sottolineato i genitori della Zerbiian family durante la diretta live: “Anche un solo euro può salvare una vita umana”.

 

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La Ricerca non si ferma

La battaglia contro il coronavirus non è finita. Mentre il nostro centro vaccinale è impegnato a mettere in sicurezza la popolazione, i nostri ricercatori stanno studiando il ruolo della genetica nello sviluppo del virus. Alcune persone infatti diffondono più marcatamente il contagio e si ammalano più facilmente e con una carica virale maggiore. Perché? La risposta è nelle difese immunitarie.

I nostri ricercatori hanno finora raccolto 22 famiglie e ne hanno analizzate 20 con un pannello di 43 geni associati alla risposta immunitaria all’infezione virale. Tra i circa 120 individui che sono stati analizzati in totale, sono state individuate circa 110 varianti genomiche. Il passo successivo consiste ora nell’analisi bioinformatica, nella correlazione statistica tra le varianti e il grado di gravità dei sintomi manifestati in seguito all’infezione. Si studieranno in maggiore dettaglio un piccolo numero di famiglie, risultate più informative all’analisi preliminare.

Una ricerca innovativa

Il progetto di ricerca è trasversale e innovativo, perché focalizzato in particolare sulla variabilità genetica e clinica all’interno delle famiglie. Questa potrà fornire informazioni preziose per la lotta al Covid-19, dati fondamentali anche dopo l’arrivo del vaccino, per capire chi è geneticamente più resistente e chi non vi risponderà affatto.

La ricerca ha un costo complessivo di 200 mila euro. La tua donazione è fondamentale per aiutarci in questa battaglia. Sei pronto a sostenerci?

Dona per la ricerca sul coronavirus

Studiare i fattori genetici del virus

Spiegano i nostri ricercatori che, come per tutte le malattie infettive, anche per il Coronavirus l’effetto clinico e la rapidità di contagio dipendono in larga misura dal modo in cui ciascun individuo è in grado di difendersi rispetto alle strategie di attacco del virus. Se da un lato il virus SARS-COV-2 sembra attaccare tutti con le stesse armi, non mutando in maniera determinante il proprio programma genetico, dall’altro le difese immunitarie possono fare la differenza.

Le persone non geneticamente in grado di chiudere le porte al virus – i cosiddetti superspreaders – diffondono più marcatamente il contagio e si ammalano più facilmente e con una carica virale maggiore. Sono loro a sviluppare i sintomi più gravi e, in molti casi, a non sopravvivere. Al contrario, chi è geneticamente più dotato di armi contro il virus non contrae l’infezione o rimane asintomatico.

Identificare quali fattori genetici svolgono un ruolo chiave nel contagio e nella gravità dei sintomi da SARS-COV-2 è un passo importante per scoprire nuove cure.

Dona per la ricerca sul coronavirus

Noi siamo pronti a fermarlo. Tu?

Questo il piano d’azione dei nostri docenti e ricercatori Fiorella Gurrieri, Massimo Ciccozzi, Marcello D’Amelio, Giorgio Minotti, Emanuela Salvatorelli e Silvia Angeletti:

  • verificare l’impatto del profilo genetico individuale sulle caratteristiche cliniche e sulla progressione della malattia da Covid-19
  • identificare varianti genetiche di suscettibilità e di protezione nei confronti della malattia, ad esempio legate al genere e alla regionalità
  • inserire le varianti genetiche in un modello cellulare ingegnerizzato per ricapitolare in vitro l’infezione da Covid-19
  • comprendere la patogenesi della malattia e testare rapidamente nuovi farmaci.

I nostri ricercatori sono pronti a raggiungere questo traguardo importante per salvare vite umane.

Tu sei pronto a sostenerli?

 

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Causale: Ricerca Coronavirus

Un calendario con i disegni dei Piccoli Artisti di Manageritalia, per dire che la solidarietà è importante 365 giorni l’anno. Giunto quest’anno alla sedicesima edizione, ha voluto sostenere stavolta l’impegno della nostra Unità Operativa di Chirurgia plastica e ricostruttiva, contribuendo in particolare all’acquisto di un dermatoscopio ad alta risoluzione (High Definition Dermoscopy) per la diagnosi precoce dei melanomi, i tumori maligni della pelle.

Protagonisti del progetto, promosso da Manageritalia a favore dell’Associazione Amici dell’Università Campus Bio-Medico di Roma Onlus, i figli “under 10” degli associati di Manageritalia Lazio, Abruzzo, Molise, Sardegna e Umbria.

Sono infatti proprio i loro disegni, realizzati a tema libero con diverse tecniche, ad accompagnare le pagine del calendario da tavolo. Premiati lo scorso 23 novembre 2019 a Roma, hanno permesso di destinare 3.230 euro all’acquisto del dermatoscopio, ora attivo presso il nostro Policlinico Universitario grazie a questo e ad altri donativi.

 

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