Trovare nuovi modi per assistere i pazienti

Anche la Puglia sostiene la ricerca scientifica dell’Università Campus Bio-Medico di Roma. Sabato 2 settembre, su iniziativa della dott.ssa Paola Baldassarre Montanaro, Delegata per il territorio di Brindisi dell’Associazione Amici del Campus Bio-Medico di Roma, con la collaborazione della prof.ssa Raffaella Argentieri, Presidente della Fondazione Tonino Di Giulio, e con il patrocinio di Confindustria Brindisi, in 75 si sono ritrovati presso la la Tenuta Lu Spada per una cena di solidarietà a favore della ricerca scientifica in ambito neurologico e psichiatrico.

Le patologie neurologicheictus, morbo d’Alzheimer e varie forme di demenza senile, morbo di Parkinson, SLA e altre forme di sclerosi – insieme ai disturbi del comportamento alimentare hanno un impatto del 13% sulla popolazione italiana, non risparmiando nessuna fascia d’età.

All’interno del nostro Ateneo, contribuiscono alla ricerca scientifica su queste problematiche le unità di ricerca dirette dal prof. Vincenzo Di Lazzaro e dalla prof.ssa Laura De Gara, impegnati a trovare nuove vie per garantire una migliore assistenza ai pazienti che ne sono affetti.

Proprio la prof.ssa Laura De Gara, Pro Rettore Vicario dell’Ateneo, Presidente del Corso di laurea magistrale in Scienze dell’alimentazione e della nutrizione umana, è intervenuta nel corso della serata in rappresentanza dell’Università Campus Bio-Medico di Roma insieme al dott. Giuliano Albergo, Responsabile del servizio di Psichiatria presso la Fondazione Policlinico Campus Bio-Medico e promotore delle terapie elettroceutiche.

La serata ha consolidato la collaborazione tra il territorio pugliese e il nostro Ateneo, che fino ad oggi ha visto laurearsi brillantemente 500 studenti provenienti da questa regione.

La malattia di Alzheimer è la prima causa di demenza nella popolazione italiana: oltre 600 mila persone convivono con questa condizione. Attualmente le poche terapie approvate per contrastarne l’evoluzione sembrano essere efficaci solo nelle primissime fasi della malattia. Per questo la ricerca scientifica e la diagnosi precoce sono fondamentali.

Già nel 2017 i nostri ricercatori – all’interno della Piattaforma integrata di ricerca tra IRCCS Santa Lucia e il nostro Ateneo, coordinata dal nostro prof. Marcello D’Amelio – avevano individuato nell’area tegmentale ventrale (VTA), legata alla produzione di dopamina, uno dei primi eventi nel corso di sviluppo della malattia.

Ora un nuovo studio ha verificato il legame tra l’Alzheimer e le compromissioni dei circuiti dopaminergici in pazienti con disturbo cognitivo lieve, scoprendo una finestra di intervento di due anni prima che la malattia si manifesti. La ricerca è stata pubblicata sul Journal of Alzheimer’s Disease dalla dott.ssa Laura Serra, del Laboratorio di Neuroimmagini del Santa Lucia IRCCS di Roma, dal prof. Marcello D’Amelio, Responsabile del laboratorio di Neuroscienze Molecolari del Santa Lucia IRCCS e Professore Ordinario di Fisiologia Umana nel nostro Ateneo, e dal prof. Marco Bozzali, Professore Associato di Neurologia dell’Università di Torino.

“La VTA” spiega il prof. D’Amelio “è rappresentata da un’area molto piccola, che conta circa 600-700mila neuroni, piccolo numero rispetto agli oltre 80 miliardi di neuroni che compongono il cervello umano. Il nostro studio si è focalizzato sulle connessioni che si stabiliscono tra la VTA e il resto del cervello e come queste, a causa di un danno in VTA, si modificano nel corso di malattia. Il risultato, frutto di anni di ricerca, è stata la sorprendente capacità che lesioni della VTA hanno nel predire lo sviluppo della malattia di Alzheimer e l’obiettivo di quest’ultimo lavoro è stato comprendere la finestra temporale che un’analisi della VTA è in grado di offrire prima che si sviluppino i sintomi della malattia”.

Analizzando i risultati i ricercatori sono riusciti a confermare che la riduzione delle connessioni della VTA anticipa di circa due anni i danni ad altre aree del cervello e la comparsa dei primi sintomi clinici, una finestra temporale all’interno della quale è possibile l’utilizzo di farmaci volti a contrastare l’evolvere della malattia.

Il nuovo studio ha infine confermato la maggiore specificità di questa metodica nel diagnosticare con accuratezza la malattia di Alzheimer distinguendola da altre forme di demenza.

 

Sostieni la ricerca contro l’Alzheimer

Il Covid-19 ha portato, insieme alla malattia, anche un lungo strascico di problemi di natura socio-economica: dalla perdita del lavoro alla solitudine, dal collasso della prevenzione sanitaria all’interruzione dei sistemi dell’istruzione. Allo stesso tempo, la pandemia ha dimostrato in modo ancora più evidente quanto la nostra impronta sull’ambiente e sul pianeta possa generare effetti a catena disastrosi per l’uomo e per l’intero ecosistema.

La pandemia ha aggravato le diseguaglianze, ha esacerbato le povertà e ne ha create di nuove. Accanto a una inedita crisi sanitaria, ha generato una diffusa situazione di povertà educativa con la più grande interruzione mondiale dei cicli scolastici nella storia dell’ultimo secolo; ha rimarcato le differenze di genere; ha messo in discussione tanti diritti: dalla cura all’eguaglianza di genere, all’istruzione, al lavoro. Non ultimo, ha evidenziato in modo drammatico l’impatto del nostro stile di vita sull’ambiente. “Questa pandemia lascerà a lungo dietro di sé una scia di nuovi e vecchi bisogni a cui rispondere – spiega Rossano Bartoli, portavoce del Comitato Testamento Solidale e Presidente della Lega del Filo d’Oro – ma per farlo, serve il supporto di ciascuno di noi, serve una sorta di vaccino contro l’indifferenza, per stimolare gli anticorpi della generosità e dell’altruismo“.

Un vaccino contro l’indifferenza

Secondo il Comitato Testamento Solidale, coordinamento di 23 tra le più importanti organizzazioni non profit in Italia di cui anche il nostro Ateneo fa parte, a fronte delle tante crisi che la pandemia ha aperto anche sul fronte sociale, economico, culturale e ambientale, esiste quindi un vaccino di straordinaria efficacia e con nessuna controindicazione: la solidarietà.

Il testamento solidale è un importante componente di questo “vaccino contro l’indifferenza”, perché è una risposta altruistica che guarda al bene di chi resta. Soprattutto, è un gesto alla portata di tutti, perché anche con piccole somme o beni si può contribuire a portare sollievo dove c’è una sofferenza o un bisogno, senza ledere in alcun modo gli interessi di eventuali legittimi eredi.

 

Scopri come fare

 

Una scoperta storica sull’origine del morbo d’Alzheimer

Una scoperta che ha fatto subito il giro del mondo, aprendo nuove frontiere per la cura del morbo d’Alzheimer. Secondo lo studio coordinato dal prof. Marcello D’Amelio e dalla sua Unità di Ricerca di Neuroscienze molecolari, l’origine dell’Alzheimer non risiede nella parte del cervello legata alla memoria, ma in quella deputata all’umore. Una tesi già confermata da una sperimentazione su pazienti svolta dall’Università di Sheffield, in Inghilterra, e che ora, pubblicato su Nature Communications, è uno degli studi più citati nella comunità scientifica internazionale.

Alla ricerca di una cura per l’Alzheimer

Raramente i risultati della ricerca di laboratorio raggiungono rapidamente l’applicazione clinica sul paziente. Non è questo il caso della scoperta del prof. D’Amelio e della sua équipe di ricerca, che potrebbe cambiare presto la vita di chi soffre di questa patologia neurodegenerativa – la più comune forma di demenza – per la quale per ora non esiste cura efficace.

Aprile 2017 – Il team UCBM scopre l’origine dell’Alzheimer

Il team del prof. D’Amelio scopre che l’Area Tegmentale Ventrale (VTA) – un’area del cervello che regola diverse funzioni quali ad esempio quella della gratificazione – va incontro a degenerazione molto prima che si formino le caratteristiche placche di beta-amiloide nelle aree del cervello storicamente associate alla malattia.

Marzo 2018 – Uno studio inglese su pazienti conferma la scoperta

Uno studio dell’Università di Sheffield (Inghilterra) dimostra con tecniche di risonanza magnetica nucleare che la VTA è effettivamente coinvolta nelle fasi precoci di malattia di Alzheimer. È la prima conferma sull’uomo. Il prof. D’Amelio la commenta in un editoriale sul Journal of Alzheimer’s Disease, rivista su cui è pubblicato il lavoro prodotto dal gruppo inglese.

Settembre 2018 – Uno studio italiano aggiunge nuovi dettagli

Uno studio tutto italiano, sotto la spinta del prof. D’Amelio, aggiunge ulteriori dettagli sul coinvolgimento della VTA in pazienti a diverso grado di sviluppo di malattia e che presentano alterazioni delle funzioni non-cognitive (ad esempio apatia, disturbi del sonno e dell’appetito).

Maggio 2018 – Iniziano le ricerche per la sperimentazione di nuovi farmaci

L’americana Alzheimer’s Association assegna al prof. D’Amelio un finanziamento triennale per ulteriori ricerche finalizzate alla sperimentazione preclinica di farmaci capaci di ridurre o addirittura bloccare la degenerazione della VTA. Le ricerche sono attualmente in corso.

Febbraio 2019 – Una ricerca valuta l’efficacia della musica contro l’Alzheimer

Farmindustria decide di sostenere la ricerca del prof. D’Amelio sponsorizzando uno studio non farmacologico. Poiché è noto che l’ascolto di alcuni tipi di musica funge da potente stimolatore della VTA, lo studio punta a stimolarla proprio in questo modo. La ricerca, attualmente in corso, valuterà l’efficacia della musica nel rallentare la progressione del morbo d’Alzheimer.

Giugno 2021 – Trovata la chiave per la diagnosi precoce

Un nuovo studio promosso dall’IRCCS Santa Lucia insieme ai nostri ricercatori e all’Università di Torino ha individuato nelle lesioni dell’area tegmentale ventrale (VTA) la capacità di predire lo sviluppo dell’Alzheimer, scoprendo così una finestra di intervento di due anni prima che la malattia si manifesti. La scoperta ha aperto nuovi importanti scenari per la diagnosi precoce.

L’impegno dei ricercatori continua

L’impegno quotidiano del prof. D’Amelio e del suo team continua quindi in laboratorio, per offrire presto nuove possibilità di cura a quanti soffrono della malattia di Alzheimer: circa il 5% della popolazione mondiale sopra i 60 anni, 1 milione di persone solo in Italia. Un numero che – dato il continuo invecchiamento della popolazione – potrebbe triplicare nei prossimi 40 anni, con costi sociali ed economici elevatissimi. Al lavoro dei nostri ricercatori è rivolta la speranza di tutti i pazienti e soprattutto dei loro cari.

 

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La morte dell’area del cervello che produce la dopamina, un neurotrasmettitore essenziale per alcuni meccanismi di comunicazione tra i neuroni: sarebbe questa la causa del morbo di Alzheimer secondo lo studio pubblicato su Nature Communications da un’equipe di ricercatori coordinati da Marcello D’Amelio, responsabile dell’Unità di Ricerca di Neuroscienze Molecolari UCBM, in collaborazione con la Fondazione IRCCS Santa Lucia e il CNR di Roma.

L’origine dell’Alzheimer non è nella memoria

L’origine della patologia, che solo in Italia colpisce mezzo milione di persone oltre i 60 anni di età, non andrebbe ricercata dunque nell’ippocampo, la struttura del sistema nervoso centrale coinvolta nelle funzioni della memoria e su cui i ricercatori si sono focalizzati negli ultimi 20 anni.

“Abbiamo effettuato un’accurata analisi morfologica del cervello – spiega D’Amelio – e abbiamo scoperto che quando vengono a mancare i neuroni dell’area tegmentale ventrale, che producono la dopamina, il mancato apporto di questo neurotrasmettitore provoca il conseguente malfunzionamento dell’ippocampo, anche se tutte le cellule di quest’ultimo restano intatte, causandone il ‘tilt’ che genera la perdita di memoria”. Un meccanismo risultato perfettamente coerente con le descrizioni cliniche della patologia di Alzheimer fatte dai neurologi.

Una scoperta confermata in laboratorio

Un’ulteriore conferma della scoperta è stata possibile somministrando in laboratorio, su modelli animali, due diverse terapie: una con L-DOPA, un amminoacido precursore della dopamina; l’altra basata su un farmaco che ne inibisce la degradazione. In entrambi i casi, dopo aver iniettato il rimedio, si è registrato il recupero completo della memoria in tempi relativamente rapidi. Nel corso dei test, gli scienziati hanno registrato – accanto al miglioramento delle funzionalità mnesiche – anche il pieno ripristino della facoltà motivazionale e della vitalità. Si tratta di una seconda, importante, scoperta.

“Abbiamo verificato – chiarisce D’Amelio – che l’area tegmentale ventrale rilascia la dopamina anche nel nucleo accumbens, l’area che controlla la gratificazione e i disturbi dell’umore, garantendone il buon funzionamento. Per cui con la degenerazione dei neuroni che producono dopamina, aumenta anche il rischio di andare incontro a una progressiva perdita di iniziativa fino all’apatia, indice di un’alterazione patologica dell’umore”.

I cambiamenti nel tono dell’umore non sarebbero dunque – come si credeva fino ad oggi – una conseguenza della comparsa dell’Alzheimer, ma piuttosto una sorta di campanello d’allarme dietro il quale si nasconde l’inizio subdolo della patologia.

Nuove prospettive per la cura di Alzheimer e Parkinson

Le prospettive che lo studio schiude sono molteplici. “Il prossimo passo – spiega ancora il docente UCBM – dovrà essere la messa a punto di tecniche neuro-radiologiche più efficaci, in grado di farci accedere ai segreti custoditi nell’area tegmentale ventrale, per scoprirne i meccanismi di funzionamento e degenerazione.

Inoltre, i risultati ottenuti suggeriscono di non sottovalutare i fenomeni depressivi nella diagnosi di Alzheimer, perché potrebbero andare di pari passo con la perdita della memoria.

Infine, poiché pure il Parkinson è causato dalla morte dei neuroni che producono la dopamina, è possibile immaginare che le strategie terapeutiche future per entrambe le malattie potranno concentrarsi su un obiettivo comune: impedire in modo ‘selettivo’ la morte di questi neuroni”.

 

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