Ridare il tatto a chi è stato amputato

La perdita di una mano in seguito a un evento traumatico è un danno devastante subìto ogni anno da circa 4 mila persone in Italia. Un drastico cambiamento che impatta non solo sull’ambito lavorativo, ma anche sulla sfera personale, limitando fortemente le capacità di compiere attività quotidiane e di interagire con le persone.

Per questo il nostro ateneo è da sempre in prima linea nella neuroprotesica, con un’attenzione particolare al tema del recupero delle capacità sensoriali, grazie all’utilizzo di interfacce neurali.

LifeHand, la prima protesi controllata dal pensiero

Nel 2008, per la prima volta un paziente è riuscito a muovere un arto bionico attraverso la propria mente. LifeHand, questo il nome della prima protesi capace di rispondere agli impulsi cerebrali, è stata il risultato di un progetto finanziato dall’Unione Europea, con il coordinamento dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Proprio nel nostro policlinico universitario sono stati impiantati nel braccio di Pierpaolo Petruzziello i quattro elettrodi che gli hanno permesso di controllare la mano robotica durante il mese di sperimentazioni.

LifeHand 2, la prima mano bionica che ‘sente’ gli oggetti

LifeHand 2, la prima mano bionica indossabile che restituisce all’amputato sensazioni tattili, è stata sperimentata nel 2014 dai nostri medici e bioingegneri insieme all’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’IRCSS San Raffaele di Roma, la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, l’Ecole Polytechnique Federale di Losanna e l’Istituto IMTEK dell’Università di Friburgo.

PPR2, con Inail per restituire le sensazioni propriocettive

Risale sempre al 2014 la partnership tra il nostro ateneo e Inail, l’Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro. Obiettivo, lo sviluppo di una nuova mano bionica impiantabile basata sull’utilizzo di interfacce neurali, per restituire ai pazienti amputati anche sensazioni propriocettive, ovvero la capacità di riconoscere la posizione del corpo nello spazio.

Il sistema protesico è stato quindi ottimizzato dal 2017 al 2019 attraverso l’introduzione di componenti fortemente miniaturizzate, stabili e biocompatibili, per migliorare concretamente la quotidianità dei pazienti.

Sensibilia, il futuro è realtà

L’ultimo passo in avanti si chiama Sensibilia. Una mano bionica che, impiantata in modo sperimentale nel 2019 su Clara, amputata 30 anni prima in seguito a un incidente domestico, ha dimostrato che è possibile compiere con destrezza movimenti anche complessi.

Al termine del progetto, realizzato dal nostro ateneo insieme al Centro Protesi Inail, Clara ha ricevuto una mano bionica simile a quelle della sperimentazione.

Reshape, per mani bioniche percepite come proprie

Ma se il presente si chiama Sensibilia, il futuro è Reshape. Il progetto del dott. Di Pino, laureato in Medicina e Chirurgia, dottorato in Ingegneria Biomedica e specializzato in Neurologia nel nostro ateneo, coniuga Neuroscienze, Ingegneria Biomedica e Clinica Neurologica per permettere agli amputati di non sentirsi più tali, grazie a una mano bionica percepita come propria. La sua idea – passare dal concetto di protesi (dal greco, artefatto, qualcosa di esterno) a quello di endotesi (qualcosa che faccia parte del corpo) – ha convinto nel 2015 a Bruxelles oltre trenta top scientists, tra i quali alcuni Nobel, e ha vinto quindi il prestigioso bando europeo ERC-Starting Grant.

“Il problema – spiega il ricercatore – è che le protesi di oggi sono il frutto dell’evoluzione della robotica industriale e rimangono un corpo estraneo. Il mio desiderio è allora quello di concepire una protesi con cui il soggetto non debba suonarci il piano, ma sentirsi completo durante una serata di gala. E questo è possibile solo partendo dalle sensazioni e dai processi cerebrali umani”.

WiFi-MyoHand, RGM5 e 3DAID

Nella primavera 2021, in collaborazione con il Centro Protesi Inail di Budrio e con la partecipazione della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, il nostro ateneo ha avviato tre nuovi progetti nel campo delle protesi bioniche di arto superiore. WiFi-MyoHand svilupperà una nuova protesi bionica con ritorno sensoriale grazie a un sistema di stimolazione neurale completamente impiantabile e wireless. RGM5 individuerà nuove procedure di chirurgia bionica per l’adattamento del corpo dell’amputato alle protesi più innovative e restituirà la propriocezione. 3DAID realizzerà protesi e ortesi di mano innovative e low-cost grazie all’utilizzo di tecniche avanzate di prototipazione rapida con stampa 3D.

Un tumore maligno da diagnosticare per tempo

Il melanoma è un tumore maligno della pelle. La sua incidenza è in continua crescita ed è quasi raddoppiata negli ultimi 10 anni. La sopravvivenza di chi ne è affetto dipende dallo stadio di malattia ed è del 98% nel caso questa sia localizzata solo alla cute. Per questo la diagnosi precoce del tumore è indispensabile per individuare eventuali melanomi sottili, e ancor più importante è effettuare prevenzione nelle persone che presentano fattori di rischio quali familiarità, fototipo chiaro, elevato numero di nevi, storia di ustioni solari nell’infanzia e soprattutto pregresso melanoma.

Il nostro impegno contro i melanomi

L’Unità Operativa di Chirurgia plastica e ricostruttiva, coordinata dal prof. Paolo Persichetti con l’ausilio del dott. Vincenzo Panasiti, è impegnata costantemente nella prevenzione e follow up del melanoma e di altre neoplasie maligne della cute. Grazie alla collaborazione tra specialisti dermatologi, oncologi e chirurghi plastici, si occupa in particolare di garantire livelli assistenziali di elevata qualità, contribuendo in modo significativo – anche attraverso la ricerca scientifica – alla diagnosi e cura di questa neoplasia. I dermatologi della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico sono inoltre impegnati anche in campagne di screening sul territorio.

Tre obiettivi per la diagnosi precoce del melanoma

Per identificare i melanomi in stadio iniziale e garantire una guarigione completa ai pazienti, i nostri specialisti hanno tre obiettivi concreti:

  • acquistare un dermatoscopio ad alta risoluzione (High Definition Dermoscopy) che possa aiutarli nella diagnosi precoce – Obiettivo raggiunto!
  • costruire una Melanoma Unit, un’unità operativa specifica in grado di accompagnare il paziente e la sua famiglia dall’inizio alla fine del percorso di diagnosi e cura
  • realizzare un ambulatorio open cui i pazienti possano accedere quotidianamente senza prenotazione, portando in visione la sola impegnativa del medico curante.

Sosterrai i nostri medici in questa sfida?

In occasione della Giornata internazionale del lascito solidale del 13 settembre, il Comitato Testamento Solidale – di cui anche UCBM fa parte – promuove la prima edizione dell’Open Day Solidale, un’iniziativa che coinvolge circa 60 Consigli Notarili Distrettuali che apriranno le proprie porte in tutta Italia.

Dalle ore 16 alle 19, presso le sedi dei Consigli Notarili, i notai offriranno informazioni e consulenza gratuita sui lasciti solidali a tutte le persone interessate a saperne di più. Per esempio, sarà possibile confrontarsi su come si fa un testamento solidale, come tutelare la famiglia e far in modo che le proprie volontà vengano eseguite dopo la morte, cosa si può donare in beneficenza.

Se è vero infatti che in Italia il 5% degli over 50 (circa 25,5 milioni di persone) ha già fatto o pensa di fare un lascito solidale (percentuale in lenta ma costante ascesa, tanto che nel 2016 è cresciuta del 15%), è anche vero che il nostro Paese è ancora fanalino di coda in Europa. L’iniziativa del 13 settembre desidera quindi informare e sensibilizzare la popolazione sull’importanza di questo gesto.

 

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Le malattie croniche più frequenti

Le malattie reumatiche sono a livello internazionale le malattie croniche più frequenti e, in Europa, la prima causa di dolore e disabilità (fonte: OMS). In Italia, artrite e artrosi colpiscono il 17,3% della popolazione mentre l’osteoporosi il 7,3%, con frequenza circa doppia nelle donne (Istat 2010). Sempre nel nostro Paese, sono la seconda causa di prescrizione di farmaci.

I pazienti affetti da malattie reumatiche subiscono una riduzione significativa della qualità di vita. Soprattutto le malattie reumatiche a genesi infiammatoria – come ad esempio le artriti croniche – sono accompagnate infatti da sintomi estremamente invalidanti quali il dolore acuto e/o cronico e la fatigue, una combinazione di debolezza generalizzata, debolezza muscolare, mancanza di energie e stanchezza mentale. Le malattie reumatiche sono gravate inoltre da un’elevata frequenza di sintomi depressivi, di disturbi d’ansia e di disturbi del sonno.

Un progetto di ricerca e prevenzione contro le malattie reumatiche

Avere una malattia reumatica e, al contempo, vivere bene è oggi quasi impossibile. Proprio per questo Vivere con una malattia reumatica – Vivere in salute è il titolo del progetto di ricerca dell’Unità Operativa di Immunoreumatologia, guidata dalla prof.ssa Antonella Afeltra. Due gli obiettivi dei nostri medici e ricercatori: un approfondimento epidemiologico degli stili di vita a rischio nei pazienti con malattie reumatiche e la promozione di uno stile di vita sano come misura di prevenzione.

Percorsi personalizzati per uno stile di vita sano

Due sono quindi anche le fasi del progetto. La prima dedicata a un’indagine epidemiologica sui fattori di rischio, prendendo in considerazione stili di vita quali fumo, sovrappeso e obesità, abitudini alimentari e sedentarietà. La seconda prevede invece la sperimentazione e il perfezionamento di un programma di prevenzione basato su tre diversi principi: la misura dei fattori di rischio, l’educazione del paziente riguardo alle loro conseguenze per la salute e l’ideazione di strategie per contrastare i fattori di rischio stessi.

Tra le proposte fatte ai pazienti – 50 al mese a partire da febbraio 2021 – anche programmi personalizzati di attività fisica da remoto, corsi di cucina, indicazioni dietetiche personalizzate, programmi per smettere di fumare, percorsi individualizzati per promuovere uno stile di vita sano e incontri con specialisti in scienze della nutrizione, dietisti, giornalisti enogastronomici e chef.

 

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Una scoperta storica sull’origine del morbo d’Alzheimer

Una scoperta che ha fatto subito il giro del mondo, aprendo nuove frontiere per la cura del morbo d’Alzheimer. Secondo lo studio coordinato dal prof. Marcello D’Amelio e dalla sua Unità di Ricerca di Neuroscienze molecolari, l’origine dell’Alzheimer non risiede nella parte del cervello legata alla memoria, ma in quella deputata all’umore. Una tesi già confermata da una sperimentazione su pazienti svolta dall’Università di Sheffield, in Inghilterra, e che ora, pubblicato su Nature Communications, è uno degli studi più citati nella comunità scientifica internazionale.

Alla ricerca di una cura per l’Alzheimer

Raramente i risultati della ricerca di laboratorio raggiungono rapidamente l’applicazione clinica sul paziente. Non è questo il caso della scoperta del prof. D’Amelio e della sua équipe di ricerca, che potrebbe cambiare presto la vita di chi soffre di questa patologia neurodegenerativa – la più comune forma di demenza – per la quale per ora non esiste cura efficace.

Aprile 2017 – Il team UCBM scopre l’origine dell’Alzheimer

Il team del prof. D’Amelio scopre che l’Area Tegmentale Ventrale (VTA) – un’area del cervello che regola diverse funzioni quali ad esempio quella della gratificazione – va incontro a degenerazione molto prima che si formino le caratteristiche placche di beta-amiloide nelle aree del cervello storicamente associate alla malattia.

Marzo 2018 – Uno studio inglese su pazienti conferma la scoperta

Uno studio dell’Università di Sheffield (Inghilterra) dimostra con tecniche di risonanza magnetica nucleare che la VTA è effettivamente coinvolta nelle fasi precoci di malattia di Alzheimer. È la prima conferma sull’uomo. Il prof. D’Amelio la commenta in un editoriale sul Journal of Alzheimer’s Disease, rivista su cui è pubblicato il lavoro prodotto dal gruppo inglese.

Settembre 2018 – Uno studio italiano aggiunge nuovi dettagli

Uno studio tutto italiano, sotto la spinta del prof. D’Amelio, aggiunge ulteriori dettagli sul coinvolgimento della VTA in pazienti a diverso grado di sviluppo di malattia e che presentano alterazioni delle funzioni non-cognitive (ad esempio apatia, disturbi del sonno e dell’appetito).

Maggio 2018 – Iniziano le ricerche per la sperimentazione di nuovi farmaci

L’americana Alzheimer’s Association assegna al prof. D’Amelio un finanziamento triennale per ulteriori ricerche finalizzate alla sperimentazione preclinica di farmaci capaci di ridurre o addirittura bloccare la degenerazione della VTA. Le ricerche sono attualmente in corso.

Febbraio 2019 – Una ricerca valuta l’efficacia della musica contro l’Alzheimer

Farmindustria decide di sostenere la ricerca del prof. D’Amelio sponsorizzando uno studio non farmacologico. Poiché è noto che l’ascolto di alcuni tipi di musica funge da potente stimolatore della VTA, lo studio punta a stimolarla proprio in questo modo. La ricerca, attualmente in corso, valuterà l’efficacia della musica nel rallentare la progressione del morbo d’Alzheimer.

Giugno 2021 – Trovata la chiave per la diagnosi precoce

Un nuovo studio promosso dall’IRCCS Santa Lucia insieme ai nostri ricercatori e all’Università di Torino ha individuato nelle lesioni dell’area tegmentale ventrale (VTA) la capacità di predire lo sviluppo dell’Alzheimer, scoprendo così una finestra di intervento di due anni prima che la malattia si manifesti. La scoperta ha aperto nuovi importanti scenari per la diagnosi precoce.

L’impegno dei ricercatori continua

L’impegno quotidiano del prof. D’Amelio e del suo team continua quindi in laboratorio, per offrire presto nuove possibilità di cura a quanti soffrono della malattia di Alzheimer: circa il 5% della popolazione mondiale sopra i 60 anni, 1 milione di persone solo in Italia. Un numero che – dato il continuo invecchiamento della popolazione – potrebbe triplicare nei prossimi 40 anni, con costi sociali ed economici elevatissimi. Al lavoro dei nostri ricercatori è rivolta la speranza di tutti i pazienti e soprattutto dei loro cari.

 

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Una serata musicale pensata dai nostri studenti in memoria di Filippo Baldoni, studente di ingegneria scomparso nel dicembre 2014 a cui è anche stata dedicata una sala prove in UCBM. Un momento semplice ma fortemente sentito soprattutto da quanti avevano conosciuto il giovane, cantante e chitarrista per passione.

 

Capovolgere la clessidra della vita e far ripartire il tempo, lasciando un segno positivo, duraturo e importante per il futuro di tutti, soprattutto dei giovani. In questo consiste la scelta della signora Bruna Piconi, che ha voluto destinare una parte del proprio patrimonio al nostro Ateneo, per sostenere le sue attività d’insegnamento, ricerca e assistenza sanitaria.

Di lei raccontano i nipoti, ai quali non avendo figli era molto legata: “La cara zia Bruna era una persona molto affettuosa, seria e moralmente rigorosa. Stimatissima e apprezzata sul lavoro […] non era sposata, per questo era particolarmente legata alla famiglia delle cugine con le quali era cresciuta. […] Si è dedicata totalmente ai suoi cari, assistendo fino all’ultimo i fratelli durante la loro malattia e la mamma ultracentenaria, deceduta poco prima di lei alla ragguardevole età di 107 anni! A dire il vero l’intera esistenza di Bruna è stata segnata da una grandissima sensibilità verso il prossimo, da una costante disponibilità a sostenere gli altri nelle difficoltà”.

Per questo il lascito a favore della nostra Università – il secondo in assoluto ricevuto dall’Ateneo – dà la dimensione della sua profonda umanità e “trasmette il senso delle sue ultime volontà, una conclusiva dimostrazione di profondi valori cristiani e umani e una sollecitazione a seguire questo esempio di altruismo”.

“L’atto del ‘lasciare’ – ha commentato il Presidente UCBM Felice Barela – è un gesto di generosità coerente con la nostra missione. Il nostro impegno di ogni giorno, come quello della signora Piconi, è garantire prospettive di vita migliori all’intera collettività, prendendoci cura dell’essere umano in ogni ambito che lo riguarda”.

Due chitarre, una bottiglia di vino, spartiti e appunti sparsi sul tavolo, tra chiacchiere e canzoni, come due buoni amici dopo cena. Questi gli ingredienti di Due amici dopo cena tra chiacchiere e canzoni, serata promossa da UCBM il 12 dicembre a sostegno delle borse di studio destinate ai suoi migliori studenti. Protagonisti, Edoardo De Angelis e Neri Marcorè, con un’intervista che è diventata via via incontro musicale.

Una serata a favore delle borse di studio universitarie

Chiacchiere sulla vita, la carriera, avventure e storie passate… E poi, tra un racconto e l’altro, le canzoni più conosciute di De Angelis, ma anche quelle dei cantautori più amati da entrambi: De Andrè, Tenco, Gaber, Endrigo, De Gregori, Dalla, Fossati.

La formula, inconsueta, è stata particolarmente gradita al pubblico. Durante la serata sono stati raccolti circa 15 mila euro in donazioni a favore dell’erogazione di borse di studio, per coltivare la competenza di studenti destinati a diventare e inventare il futuro della Medicina e dell’Ingegneria.

 

Marcoré e De Angelis
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Grazie a…

La serata è stata organizzata con il supporto di Gratta e vinciSiemens Healthineers. Si ringraziano inoltre Abbott, Alse Medica, Arthex, Ecoeridania, FBM, FP Network, IQ Medica, Johnson, Lima, Medica Vision, Medtronic, Pedevilla, Servizi Ospedalieri, SP Med, Tecnosan, Vincal.

 

Acquista il cd di De Angelis, sostieni il merito

È la prima Breast Unit in tutta la Palestina, e parla italiano. È stata presentata a Beit Jala (Betlemme) domenica 9 dicembre e potrà seguire almeno 150 pazienti l’anno, pari a circa il 40 per cento di tutti i casi di tumore al seno del Paese.

Il primo e unico centro senologico multidisciplinare palestinese è nato grazie alla collaborazione tra l’Ufficio di Gerusalemme dell’AICS – Agenzia Italiana della cooperazione allo sviluppo, Elis Ong – che ha elaborato il progetto – e l’Università Campus Bio-Medico di Roma, che ha fornito i suoi medici e l’esperienza della Breast Unit attiva presso il proprio Policlinico Universitario. Grazie a loro, la senologia palestinese è ora al livello delle Breast Unit europee, volute dall’UE sin dal 2003.

300 screening diagnostici in due mesi

Il progetto, pensato insieme al Ministero della Sanità del governo palestinese, ha previsto la formazione di professionisti locali attraverso training sia in loco che a Roma, presso il Policlinico Universitario Campus Bio-Medico. “Abbiamo aderito molto volentieri a questo progetto – ha dichiarato Davide Lottieri, vicepresidente di UCBM. “Da tanti anni stiamo costruendo legami con altri Paesi e con strutture universitarie in tutto il mondo per arricchire i nostri studenti e cooperare insieme agli altri”.

Il reparto dell’ospedale di Beit Jala, recentemente ristrutturato e adattato, può contare oggi su un ecografo, un mammografo con tomosintesi e sistemi informatici. Grazie ad essi, l’equipe multidisciplinare formata da oncologi, senologi, chirurghi plastici e infermieri ha già effettuato 300 screening diagnostici nei primi due mesi di attività. 26 le donne che hanno scoperto di avere un cancro al seno in fase precoce: per loro la Breast Unit è intervenuta tempestivamente, facendo al tempo stesso risparmiare alla sanità palestinese l’equivalente di oltre 200 mila dollari per le sole indagini diagnostiche.

Solo un primo passo a favore delle donne palestinesi

Prima dell’apertura di questa Unità, le donne palestinesi che desideravano effettuare screening oncologici dovevano aspettare da 4 a 6 mesi, ovvero un lasso di tempo in cui le condizioni di salute possono aggravarsi seriamente. Erano costrette a recarsi in Giordania o in Israele, con trasferte che potevano durare anche mesi.

È stato un percorso scientifico e umano molto ricco, che ha permesso di colmare un vuoto molto importante nella sanità palestinese – spiega Vittorio Altomare, responsabile della Breast Unit romana e direttore scientifico del progetto. “I medici e gli infermieri palestinesi hanno accolto con entusiasmo l’impostazione multidisciplinare delle Breast Unit europee. Noi continueremo a esser loro vicini per accrescere questo patrimonio e portare il loro tasso di guarigione ai livelli delle donne europee. Nei prossimi mesi infatti apriremo un reparto di ricovero dedicato alle donne, daremo il via all’utilizzo della tecnica a ultrasuoni intraoperatoria per la chirurgia oncoplastica, acquisiremo una nuova tecnica per l’individuazione del linfonodo sentinella. Insieme daremo vita a uno studio scientifico e infine, nel marzo 2019, terremo il secondo convegno congiunto italo-palestinese presso la sede di UCBM”.

“La Breast Unit ha portato un grande cambiamento nel nostro Paese – ha spiegato Nida Khaliltecnica di radiologia e operatrice della Breast Unit di Beit Jala. “Appena una donna sospetta un problema al seno, noi oggi possiamo effettuare una biopsia, conoscere lo stadio della malattia e sapere come curarla. Sono andata personalmente nei mercati e per le strade e ho invitato le donne a utilizzare il nostro centro per fare prevenzione e curarsi”.

Prosegue nel nostro Policlinico Universitario il progetto di musicoterapia che, ogni quarto giovedì del mese, prevede concerti pensati sia per i pazienti che per il personale medico.

Protagonista stavolta sarà l’arpa di Augusta Giraldi.