Una staffetta di solidarietà per l’area di Mvimwa
Il pianto di un neonato squarcia il buio della notte africana. A portarlo alla luce a Mvimwa, in Tanzania, è il nostro team di Ginecologia. È il giorno del compleanno di Enrico Davoli, chirurgo del nostro policlinico pniversitario: il nome dato al bimbo, Henry, è il suo regalo più bello.
Dal 2017, anno in cui è stato promosso il primo workcamp in Tanzania, attorno al monastero benedettino di Mvimwa è partita una staffetta di solidarietà che finora ha coinvolto decine di studenti, specializzandi, medici e docenti UCBM. Un progetto pluriennale di cooperazione internazionale che coinvolge, oltre al nostro ateneo, anche l’associazione Golfini Rossi Onlus, il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria (CREA), l’Università di Parma e i due atenei africani Strathmore (Kenya) e St. Joseph (Tanzania). Un piano di sviluppo sanitario, alimentare, economico e ambientale per un’area che comprende 10 villaggi e accoglie 20 mila abitanti in un quadrante particolarmente povero e arretrato del Paese africano, a 100 km dal lago Tanganica.
Un’area fragile senza elettricità
Lì, la popolazione vive per il 60% con meno di 2 dollari al giorno e prepara il cibo tra fango e polvere. L’apporto calorico giornaliero arriva a stento a mille calorie per i lavoratori dei villaggi. Solo il 29% dei contadini ha accesso a più di 2 litri di acqua al giorno, mentre l’80% degli studenti ne consuma al massimo mezzo litro. Una difficoltà imposta dalla presenza di due soli pozzi per villaggio, senza pompe di pescaggio, e dall’assenza generalizzata di elettricità.
Formazione per trasformare il futuro della regione
Per questo i nostri volontari sono impegnati in azioni di educazione nutrizionale, screening medici e formazione sanitaria, per combattere la malnutrizione infantile e migliorare le condizioni di igiene e salute e la qualità della vita della popolazione. Finora sono 250 i pazienti di Cardiologia e 300 quelli di Neurologia cui abbiamo garantito assistenza sanitaria di base anche nei villaggi rurali più isolati, 371 invece i bambini e i ragazzi sotto i 18 anni. Ma per sostenere il monastero di Mvimwa nella sua opera di trasformazione socio-culturale del territorio, il focus della missione UCBM è e sarà sempre più sulla formazione del personale sanitario locale, per contribuire alla nascita di una scuola per infermieri e incidere così in modo significativo sul futuro dell’area.
“L’entusiasmo è più contagioso di qualsiasi patologia infettiva”
Un’esperienza travolgente perché, come spiega Benedetta, nostra studentessa di Medicina, “a primo impatto può sembrare inutile la gocciolina da te posta in mezzo al mare, ma in realtà l’entusiasmo è più contagioso di qualsiasi patologia infettiva: chissà che insieme, come tante goccioline, non riusciamo a creare uno tsunami di vita!”.
Aiutaci ad allestire un centro sanitario
Per creare questo tsunami di vita, il nostro obiettivo attuale è attrezzare un centro sanitario a favore soprattutto di donne e bambini. Per questo occorre acquistare la strumentazione necessaria ad allestire una sala parto e una sala operatoria per chirurgia minore, così come l’attrezzatura per un laboratorio di analisi e l’installazione di un servizio di telemedicina in due ospedali. Per concretizzare questo progetto abbiamo bisogno anche del vostro prezioso contributo. Vi ringraziamo fin d’ora per quanto potrete fare!
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A fianco della popolazione rurale del Cañete
La maggior parte degli abitanti della Valle del Cañete, in Perù, vive all’interno di agglomerati di case non finite e baracche fatte di legno, lamiera e teli di plastica, con rete idrica precaria o assente e rete fognaria altrettanto fatiscente. La vita è molto dura soprattutto per le donne. Poiché i mariti sono di solito lontani, per lavorare nelle miniere dalle quali spesso non fanno ritorno, sono loro a dover pensare a tutto: crescono i figli e intanto lavorano, spesso in modo pesante e precario nel settore agricolo.
L’impegno di UCBM nella Valle del Cañete
Nato nel 2012 dalla collaborazione con Condoray e la Caritas locale, i workcamp in Perù sono progetti di supporto alla popolazione rurale che abita nel distretto della Valle del Cañete, nella provincia di Lima. Proposti ogni anno alle nostre studentesse, finora ne hanno coinvolte 275 in azioni di prevenzione, screening e sostegno allo sviluppo, con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita della popolazione locale. A guidarli, fino ad oggi, una cinquantina tra docenti, medici, specializzande e dottorande.
Attività sociosanitarie e formative, per diffondere informazioni corrette su alimentazione, nutrizione dei bambini, educazione sessuale, igiene della casa e della persona. Questo nello specifico il cuore del nostro impegno. Con particolare attenzione alla formazione delle promotoras, donne dei villaggi che innescano poi una catena virtuosa nel territorio cui appartengono, mappando e sostenendo le persone più fragili che lo abitano. Centinaia, inoltre, le visite mediche e le consulenze nutrizionali nelle baraccopoli rurali e nelle scuole. Nel 2018, ad esempio, in una sola giornata abbiamo visitato circa 80 persone, dai 6 agli 80 anni, in un piccolo paese sulle Ande. Nel 2019, sono state invece visitate in tutto 800 persone, da 6 mesi a 88 anni.
Dalla ribellione di fronte all’ingiustizia all’impegno
Ma l’impegno delle volontarie non si ferma. Tra le nuove idee, la produzione di sapone allo zolfo e la realizzazione di piccoli orti domestici. Ma anche lezioni interattive per educare ragazzi e ragazze alla dimensione affettiva e sessuale.
“Da parte delle studentesse c’è sempre il momento della ribellione davanti all’ingiustizia sociale”, racconta la prof.ssa Rossana Alloni, da anni alla guida dei workcamp. “Si chiedono perché quelle ragazze della loro stessa età abbiano come unica prospettiva il raccogliere patate o mandarini, mentre loro sono di fronte alla scelta della specializzazione negli studi: Cardiologia o Ingegneria biomedica? Ma c’è sempre la possibilità che la persona emerga in tutto il suo splendore, anche in questi contesti. È già accaduto a molte donne, e ad altre vogliamo che accada ancora”.
La pandemia ha peggiorato le condizioni di vita
Poiché la pandemia ha bloccato i viaggi, dal 2020 UCBM sta seguendo la situazione a distanza. Abbiamo uno scambio continuo con Caritas, che ha bisogno di supporto perché i suoi assistiti si sono moltiplicati proprio a causa dell’emergenza sanitaria e del conseguente aumento della povertà. Grazie a Caritas, le fasce più deboli della popolazione peruviana possono trovare buone cure e farmaci sicuri, non contraffatti, ma soprattutto accoglienza e sostegno alimentare ed educativo.
Aiutaci ad acquistare la strumentazione medica
Per questo è ancora più importante sostenere l’acquisto di strumenti medicali per gli ambulatori: glucometri, otoscopi, mascherine chirurgiche, misuratori di emoglobina, pulsossimetri, radiografie dentali per bambini. Data la situazione di emergenza attuale, il materiale verrà acquistato direttamente dai responsabili di Caritas e Condoray in Perù, presso rivenditori di fiducia. Vi ringraziamo fin d’ora per il vostro prezioso aiuto!
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Una buona salute aggiunge vita agli anni. Così, l’allungamento della vita è diventato una delle nostre conquiste più significative. Tuttavia, a livello globale, ci sono poche prove che gli anziani di oggi godano di una salute migliore rispetto alle generazioni precedenti. Molte persone raggiungono un punto della loro vita in cui non possono più prendersi cura di se stesse senza sostegno e assistenza. Molto spesso, a prendersi cura di loro è direttamente il nucleo familiare. Ma a chi si può affidare il nucleo familiare?
Il nostro Ateneo è da sempre attento a sostenere la popolazione più anziana. I nostri ricercatori sono impegnati quotidianamente a migliorarne la qualità della vita attraverso progetti di ricerca contro le patologie correlate all’età e il sostegno di quanti scelgono di destinare il proprio 5×1000 alla Ricerca sulle patologie della terza età. Ma gli sforzi non finiscono qui.
Ankises, uno sportello di ascolto e orientamento
La Fondazione Alberto Sordi ha aperto “Ankises”, uno sportello di ascolto e orientamento affinché le famiglie che hanno nel proprio nucleo anziani fragili o malati cronici possano avere un punto di riferimento per affrontare situazioni critiche o complesse. Sempre più spesso, infatti, accade che gli anziani o le loro famiglie si trovino ad affrontare situazioni emergenziali o percorsi amministrativi senza sapere a quale struttura rivolgersi, né quali possibili modalità risolutive possa offrire una società in continuo mutamento.
Perché “Ankises”? Il nome del progetto rimanda alla figura di Anchise, scappato dalla città di Troia in fiamme sulle spalle del figlio Enea, eroe troiano. Anchise è rappresentato nell’epica classica come genitore amato e rispettato, portatore dei valori della tradizione. Un gesto, quello di Enea, che è quello che compiono quotidianamente tantissime persone, e che il nostro Ateneo e la Fondazione Alberto Sordi vogliono sostenere.
Quando e dove accedere ad Ankises
Lo sportello sarà attivo presso gli uffici della Fondazione Alberto Sordi (via Alvaro del Portillo 5 a Roma) ogni lunedì dalle ore 10 alle 14 e ogni mercoledì dalle 13 alle 17. Attraverso un lavoro di confronto e condivisione, un coordinatore e un gruppo di volontari saranno disponibili gratuitamente per fornire informazioni su servizi e prestazioni, normative e percorsi assistenziali.
È possibile prenotare un appuntamento scrivendo all’indirizzo e-mail ankises@fondazionealbertosordi.it.
Ogni giovedì mattina, il nostro Policlinico Universitario offre screening gratuiti a tutti i fumatori d’età compresa tra i 55 e i 75 anni o a chi ha smesso di fumare da meno di dieci anni. Grazie alla campagna di diagnosi precoce Un Respiro per la Vita, l’Unità di Chirurgia toracica controlla lo stato di salute dei loro polmoni mediante Tomografia Computerizzata (TC) Spirale a basso dosaggio.
Le persone più a rischio di tumore al polmone sono infatti i fumatori, coloro che soffrono di Bronco Pneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) e chi è esposto a sostanze carcinogene che colpiscono i polmoni (asbesto, radiazioni, berillio, idrocarburi, etc.).
Da giugno 2011 ad oggi si sono sottoposti allo screening oltre 5 mila pazienti. A 95 di questi è stata diagnosticata una neoplasia polmonare a uno stadio precocissimo: grazie a Un respiro per la vita, hanno scoperto in tempo la malattia.
L’iniziativa Un respiro per la vita è possibile grazie all’attività gratuita di molti medici del nostro Policlinico Universitario e al tuo aiuto. Purtroppo, infatti, la TC spirale non è attualmente coperta dal Servizio Sanitario Nazionale.
Garantire uno screening costa solo 40 euro, salvare una vita non ha prezzo.
La ricerca non si ferma, e neanche la sua divulgazione! Si è svolto lo scorso 23 ottobre, per iniziativa dell’Associazione Amici dell’Università Campus Bio-Medico di Roma Onlus e in streaming dallo Sporting Club di Monza, il talk intitolato #Nontipreoccupare: la ricerca non si ferma. A circa un anno dall’edizione 2019, l’Associazione Amici ha proposto quindi stavolta un incontro virtuale, in ottemperanza alle normative anti Covid-19 e per rispetto della salute di tutti, bene primario che il nostro Policlinico Universitario cura e difende ogni giorno. L’obiettivo, tuttavia, è rimasto il solito: sensibilizzare sul tema della depressione e promuovere la raccolta fondi per la ricerca.
Con la moderazione della giornalista Nancy Squitieri, sono intervenuti Vincenzo Di Lazzaro, direttore dell’UOC di Neurologia, Rossella Perricone, presidente dell’Associazione Amici, Francesco Danile, presidente dell’Associazione Antonio Danile, e l’attore e regista Sergio Scorzillo. Testimonial d’eccezione, il simpatico Germano Lanzoni, noto ai più come “il milanese imbruttito”.
Ricerca sulla depressione, risultati migliori delle attese
Una serata densa di spunti e di proficua collaborazione tra l’Associazione Amici e lo Sporting Club, che ha confermato l’apprezzamento e la stima per il lavoro scientifico del nostro Ateneo. Presente anche il presidente dello Sporting Club stesso, Filippo Carimati.
Il professor Di Lazzaro ha aggiornato gli utenti connessi circa le terapie tramite stimolazione magnetica transcranica ripetitiva, metodo non doloroso né invasivo che, attraverso l’uso di uno stimolatore di nuova generazione, sta producendo risultati migliori e maggiori delle attese. Si tratta di terapie che dovrebbero durare quattro settimane e già dopo la prima provocano ottimi miglioramenti nei pazienti.
Rossella Perricone, presidente dell’Associazione Amici, ha ricordato che gli oltre 13mila euro raccolti (al netto delle spese) grazie all’evento 2019 sono stati utilizzati, insieme ad altre donazioni, per l’acquisto dello stimolatore, il cui costo si aggira attorno ai 100mila euro.
Francesco Danile e Sergio Scorzillo hanno infine raccontato il catartico viaggio compiuto nel mondo della depressione e del teatro. Ne scaturiranno uno spettacolo e un libro intitolati Non ti preoccupare, frase tipicamente pronunciata da chi soffre di depressione per soffocare il dolore troppo grande di mostrare e affrontare la malattia.
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Una malattia genetica rara che colpisce i bambini
La malattia di Alexander è una malattia neurodegenerativa ultrarara di origine genetica che, nella sua forma più grave, colpisce i bambini nei primi anni di vita. I suoi sintomi – macrocefalia, spasticità, atassia, crisi convulsive e ritardi nello sviluppo psicomotorio – si presentano tra i 6 mesi e i 2 anni d’età e spesso conducono rapidamente al decesso. Rientra tra le leucodistrofie, caratterizzate dall’alterazione e dalla progressiva degradazione della guaina protettrice dei nervi, la mielina. Proprio il suo deterioramento provoca l’interruzione delle trasmissioni dei comandi neuronali e di conseguenza la compromissione del sistema nervoso.
Ciò che oggi è noto è che il meccanismo di degenerazione della mielina è collegato alla presenza di una mutazione in un particolare gene. Come questa modifica causi la malattia di Alexander è tuttavia una questione ancora oggi oggetto di studio.
Trovare una cura per la vita dei bambini
L’obiettivo dello studio del nostro ricercatore Emanuele Mauri – dell’Unità di Ricerca di Ingegneria Tissutale e Chimica per l’Ingegneria, diretta dalla prof.ssa Marcella Trombetta – in collaborazione con il dr. Vasco Meneghini dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) e il dr. Marco Peviani dell’Università di Pavia, è contribuire allo sviluppo di un approccio terapeutico per la malattia di Alexander, e salvaguardare la vita dei bambini che ne sono affetti.
Una promettente strategia, sviluppata dal team di Milano, sembra essere quella del gene editing: intervenire direttamente sul gene stesso, per correggerne la mutazione o “spegnerne” la funzionalità (metodo CRISP/Cas9). Una soluzione possibile grazie alla nanotecnologia promossa da UCBM, che permetterebbe di intrappolare il DNA o l’RNA destinato a intervenire sul gene mutato, e di trasportarlo attraverso la membrana cellulare all’interno delle cellule stesse, per poi rilasciarlo dove può svolgere la sua azione di rimpiazzo o disattivazione della sequenza genetica danneggiata.
Ci aiuti?
Per far questo, però, è necessario un analizzatore delle dimensioni di particella, apparecchiatura che permette di recuperare e studiare le caratteristiche chimico-fisiche di ogni nanoparticella sintetizzata, per verificarne il potenziale e poi procedere ai test. Un particle size analyzer costa tra i 45 mila e i 50 mila euro e permetterebbe di scoprire nuove terapie basate sulla nanotecnologia e destinate a curare i bambini affetti da questa malattia.
Ma non solo. Questa apparecchiatura sarebbe di aiuto anche per l’applicazione delle nanoparticelle in altri scenari critici che stanno ancora cercando una cura risolutiva. Uno di questi è quello dei tumori celebrali e in particolare del glioblastoma multiforme che, una volta diagnosticato, permette una sopravvivenza di circa 15 mesi. L’utilizzo di nanoparticelle, visualizzabili tramite risonanza magnetica o PET e in grado di trasportare molecole chemioterapiche solo nelle cellule tumorali, preservando quelle sane, rappresenterebbe un nuovo approccio terapeutico per i tumori cerebrali ispirato ai principi della medicina di precisione.
Ci aiuti ad acquistare questa importante apparecchiatura?
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Padel, fitness, superjump, step e zumba. E ancora tennis, group cycling, water polo e yoga. Anche fare sport può essere un gesto altruistico e di responsabilità nei confronti del territorio, soprattutto se a pensarlo sono i club sportivi stessi. Per questo l’Enjoy Sporting Club ha promosso Enjoy for humanity, iniziativa solidale a favore del Pronto Soccorso del nostro Policlinico Universitario.
Attraverso l’organizzazione di cinque weekend di sport e un’asta benefica, l’evento ha permesso di raccogliere 8.250 euro a favore di questa nuova struttura sanitaria fondamentale per il territorio. Quasi 7mila gli euro raccolti grazie alle attività sportive, più di 1.250 euro invece la cifra raggiunta con un’asta benefica che ha destinato a generosi partecipanti magliette e oggetti sportivi autografati da grandi campioni.
Domenica 11 ottobre, a conclusione dell’iniziativa, i fondi raccolti sono stati consegnati dall’Enjoy Sporting Club ad Andrea Rossi, direttore generale del nostro Ateneo. Saranno quindi presto investiti a favore della salute di tutti gli abitanti del territorio.
Insomma, a volte, fare sport fa doppiamente bene: a sé e agli altri!
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Un nuovo Pronto Soccorso per Roma. Un sogno che, grazie al sostegno di tanti, dal 1° settembre è diventato realtà! Ha aperto, finalmente, il Pronto Soccorso del nostro Policlinico Universitario. Una struttura di 2100 metri quadrati, accogliente, sicura e dotata delle più recenti tecnologie, accreditata Joint Commission International e realizzata seguendo i più aggiornati modelli organizzativi, tecnologici e di triage. Un servizio pensato per un bacino potenziale di circa 300mila residenti, per un afflusso stimato in 45mila accessi annui.
Anche in tempo di pandemia. Per i pazienti che dovessero risultare positivi al tampone (da trasferire pertanto in un ospedale Covid), nel mese di luglio è stato infatti costruito un Percorso Protetto Covid totalmente separato, che si estende su ulteriori 300 metri quadrati.
Pronto ad accogliere
All’inaugurazione hanno preso parte, tra gli altri, il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, il Vice Ministro alla Salute Pierpaolo Sileri, il sindaco di Roma Virginia Raggi e l’assessore alla Sanità e all’Integrazione socio-sanitaria della Regione Lazio Alessio D’Amato. Mons. Paolo Ricciardi, vescovo ausiliare con delega alla pastorale sanitaria, ha benedetto la struttura.
Come ha detto Felice Barela, presidente del nostro Ateneo, “siamo felici di poter dare questo ulteriore contributo al nostro Servizio Sanitario, fieri di essere uno dei nodi di questa ‘rete di protezione’ dei nostri concittadini”. Per Paolo Sormani, direttore generale del Policlinico Universitario, “il nostro vuole essere un Pronto Soccorso che accoglie, ascolta, comunica, si fa carico, assiste e cura”.
Il Pronto Soccorso è pensato per assicurare cure tempestive per tutte le patologie – in particolare, quelle cerebro-vascolari acute (ictus), vascolari acute (aneurismi) e cardiopatie acute (infarti) – oltre che per tutti i casi di traumatologia e di patologie chirurgiche acute.
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Il nostro Pronto Soccorso è pronto ad accogliere!
La sua inaugurazione può essere seguita in diretta sul nostro canale YouTube, sulla piattaforma Zoom (massimo 1000 utenti) e sui monitor installati nell’edificio PRABB e nella hall del nostro Policlinico Universitario.
La struttura inizierà ad accogliere i pazienti alle ore 18.
Uno studio della dottoressa Carla Lintas, biologa del nostro Policlinico Universitario, apre nuovi scenari sui fattori di rischio per il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD).
Condotta in collaborazione con il Translational Genomics Research Institute di Phoenix e con l’Università di Pisa, l’indagine, come spiega Lintas, “dimostra che il gene MTHFR, identificato come fattore di rischio per molte patologie (trombosi, aborti spontanei, malattie coronariche e difetti del tubo neurale), potrebbe costituire un fattore di rischio anche per l’ADHD”.
In particolare, la biologa ha osservato una disregolazione dell’RNA messaggero codificato dal gene MTHFR nelle madri con figli affetti dal disturbo, rispetto alle madri con figli non affetti da questa o altre patologie.
Lo studio è stato condotto su un campione di madri con almeno un figlio affetto da ADHD, uno dei disturbi del neurosviluppo più comuni nella popolazione pediatrica, tanto che si stima interessi un bambino ogni venti.
“Questi risultati preliminari dovranno essere confermati su un campione più ampio”, conclude la biologa. Intanto, però, sono già stati pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica Epigenomics.
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