Sempre più contribuenti scelgono di destinare il 5×1000 dell’Irpef al settore della ricerca scientifica e dell’università (21%). In questo scenario l’Università Campus Bio-Medico di Roma conferma il proprio trend di crescita.

Nell’ultima rilevazione, il nostro Ateneo registra un incremento dell’importo complessivo pari al 26%. Sono 18.209 le preferenze espresse nel 2014, per un totale di 882.604 euro. Fondi interamente messi a disposizione dei programmi di ricerca di UCBM, che quest’anno ha scelto di focalizzarsi in particolare sulle patologie legate all’invecchiamento.

L’Università resta nella top ten dei beneficiari del 5×1000 e al primo posto tra gli atenei che si contendono il contributo nel settore “Ricerca scientifica e Università”. In termini percentuali registra l’incremento economico più rilevante ed è l’unica a confermare una crescita nel numero delle scelte.

Una firma che non costa nulla

Tuttavia il 5×1000, a dieci anni dalla sua introduzione in Italia, resta ancora uno strumento di contribuzione non utilizzato e compreso da tutti. Secondo l’indagine Italiani Solidali, condotta da DOXA sul comportamento di donazione degli italiani, nel 2015 soltanto il 58% dei contribuenti ha espresso la propria scelta firmando la scheda di destinazione. Tra chi non ha espresso preferenze, il 50% è diffidente, mentre il 20% non è interessato.

Il contributo di tutti è fondamentale e non costa nulla. Per destinare il 5×1000 alla ricerca, basta inserire nel riquadro “Ricerca scientifica e Università” il nostro codice fiscale: 97087620585.

Prosegue il progetto di musicoterapia, iniziativa che ogni quarto giovedì del mese porta la musica tra i pazienti e il personale medico del nostro Policlinico Universitario. A suonare sarà stavolta Valter Dadone, diplomato in corno al Conservatorio di Torino e specializzato in musicoterapia.

Prosegue il progetto di musicoterapia, iniziativa che ogni quarto giovedì del mese porta la musica tra i pazienti e il personale medico del nostro Policlinico Universitario. A suonare sarà stavolta il quartetto di sassofoni Hall Saxophone Quartet.

Protagonista del terzo appuntamento del 2018 con la musica nel nostro Policlinico Universitario sarà il trio d’archi formato da Ruggiero Sfregola, Ilona Balint e Francesco Di Donna.

Con questo appuntamento prosegue il progetto di musicoterapia che ogni quarto giovedì del mese allieta i pazienti e il personale medico.

Prosegue il progetto di musicoterapia, iniziativa che ogni quarto giovedì del mese porta la musica tra i pazienti e il personale medico del Policlinico Universitario. Protagonista stavolta il violoncello di Giacomo Menna.

2 strutture di assistenza, 2 mila pazienti ogni anno

La radioterapia oncologica è una disciplina clinica che impiega le radiazioni ionizzanti per la cura delle neoplasie. Si tratta di una delle tre branche fondamentali dell’oncologia clinica e agisce in collaborazione e sinergia con l’oncologia medica e quella chirurgica, interessando oltre l’80% dei pazienti con malattie neoplastiche.

L’Unità Operativa di Radioterapia oncologica della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico si occupa della diagnosi e della cura dei pazienti affetti da tutte le tipologie di tumori. Dispone di due strutture di assistenza: il Polo di Radioterapia oncologica di via Longoni, nato nel 2005 nel quartiere Prenestino di Roma, e il Centro di Radioterapia inaugurato nel 2014 all’interno del policlinico universitario. Con quest’ultimo, i pazienti trattati ogni anno hanno raggiunto quota 2 mila.

Percorsi terapeutici integrati

Entrambe le strutture di assistenza si avvalgono di équipe multidisciplinari formate da medici, fisici, tecnici di radioterapia e personale infermieristico specializzato. Al loro interno, l’Unità Operativa di Radioterapia oncologica attua percorsi terapeutici integrati con le altre scienze oncologiche, effettuando in modo combinato trattamenti di radio e chemioterapia. Effettua trattamenti radioterapici con tecnologie e strumentazioni che consentono di aggredire la neoplasia salvaguardando il più possibile gli organi e i tessuti sani vicini alla massa tumorale. Applica inoltre protocolli terapeutici di chemioterapia combinati a farmaci biologici che, rispetto alle terapie tradizionali, hanno il vantaggio di colpire selettivamente e con maggiore efficacia le cellule tumorali, limitando al contempo gli effetti collaterali sul resto dell’organismo.

 

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Il tumore più frequente nelle donne

Nelle donne, più di 4 tumori su 10 riguardano il seno: il carcinoma mammario è la patologia neoplastica a più alta prevalenza tra le donne. Attualmente in Italia vivono oltre 830 mila donne che hanno avuto una diagnosi di tumore al seno. Quasi 56.000 solo nel 2022.

Il notevole tasso di incidenza del tumore al seno sembra dovuto a cambiamenti nelle abitudini di vita e a mutamenti negli schemi sociologici. Si stima infatti che l’aumento del peso corporeo e l’inattività fisica, il fumo e l’alimentazione non corretta siano alcuni dei fattori di rischio che possono incidere fino al 25-33% nei casi di carcinoma alla mammella.

Al contrario, alcune ricerche hanno dimostrato che l’attività fisica riduce il rischio di sviluppare il tumore al seno e la percentuale di mortalità dopo la diagnosi.

L’impegno della nostra Breast Unit

Il tema dell’incidenza del cancro al seno nelle donne è una sfida sanitaria non più dilazionabile. La Breast Unit della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico è costantemente impegnata non solo a garantire livelli assistenziali di elevata qualità, ma anche a contribuire in modo significativo alla lotta al carcinoma mammario attraverso la ricerca scientifica.

Il suo interesse è sempre rivolto ad ambiti innovativi: le nuove frontiere del trattamento personalizzato del tumore al seno, lo studio del comportamento biologico dei tumori e delle cellule tumorali circolanti, il supporto clinico-scientifico del rischio eredo-familiare nella popolazione ad alto rischio, le nuove metodiche per combattere l’alopecia chemio-indotta.

Individuata nel 2016 dalla Regione Lazio come centro di riferimento per la diagnosi e il trattamento del tumore al seno, la nostra Breast Unit si avvale di un team specialistico interdisciplinare guidato dal prof. Vittorio Altomare. In autunno, promuove la pedalata solidale Bicinrosa, per sottolineare l’importanza della prevenzione attraverso lo sport e una dieta sana.

Prevenire il tumore al polmone analizzando il respiro

In Italia, l’incidenza del tumore del polmone è di oltre 38 mila casi l’anno per gli uomini e di più di 8 mila per le donne. Si tratta di una delle neoplasie più subdole, perché difficilmente si manifesta nei primi stadi. Nel 76% dei casi, la diagnosi viene effettuata quando il paziente presenta già i sintomi della malattia: tosse, perdite di sangue con i colpi di tosse, difficoltà respiratorie, dolore al torace.

Negli ultimi decenni si sono tentate diverse strade per la diagnosi precoce, come l’esame dell’espettorato o la comune radiografia del torace, ma con scarso successo. Da qualche anno sono disponibili nuovi strumenti di diagnostica per immagini in grado di visualizzare tumori di dimensioni millimetriche, come la TC spirale, ma ancora non basta.

Un sistema innovativo, economico e non invasivo

Un progetto pilota del nostro ateneo ha dimostrato l’efficacia di un innovativo sistema di misurazione delle caratteristiche del respiro per diagnosticare il tumore al polmone.

Questo permetterebbe in particolare di sottoporre a esame fasce di popolazione finora escluse dallo screening preventivo: grazie alla totale innocuità del test, che non utilizza l’emissione di radiazioni, sarebbero esaminabili infatti non più solo i grandi fumatori sopra i 55 anni, ma anche i fumatori sporadici e, soprattutto, i giovani. Un sistema diagnostico peraltro più economico e meno invasivo della TC, e che già permette di ridurre il numero di falsi positivi.

I risultati ottenuti su cento soggetti a rischio over 55 hanno identificato correttamente la neoplasia nell’86% dei casi e hanno valutato correttamente i soggetti sani nel 95%, con appena il 5% di falsi positivi: “Un tasso decisamente minore rispetto al 36% della nostra casistica con TC a basso dosaggio di radiazioni”, sottolinea il dott. Pierfilippo Crucitti, responsabile dell’UOS di Chirurgia Toracica della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico.

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Pneumopipe, la “pipa” che cattura il respiro

Le rilevazioni dello studio sono state effettuate grazie a una catena di misurazione in grado di ‘afferrare’, acquisire, immagazzinare e conservare il respiro. Un progetto che è il frutto del lavoro dell’équipe di Elettronica per Sistemi Sensoriali del nostro ateneo.

Spiega il prof. Giorgio Pennazza, docente di Elettronica: “Abbiamo utilizzato il dispositivo Pneumopipe, una sorta di grande pipa da noi sviluppata e brevettata, in grado di catturare le particelle organiche volatili (VOCs) del respiro umano. Il paziente può respirarvi all’interno senza sforzo per circa tre minuti, riempiendo una cartuccia delle dimensioni di una penna a sfera e in grado di incamerare e conservare l’esalato specifico di ciascun soggetto”.

Bionote, lo strumento che esamina il respiro

La valutazione dei campioni di esalato è stata quindi effettuata mediante Bionote, strumento capace, attraverso speciali filtri, di esaminare nel dettaglio le caratteristiche dei composti volatili costituitivi del respiro dei pazienti. L’accoppiata tecnologica Pneumopipe-Bionote potrebbe quindi costituire il futuro della diagnosi precoce del tumore del polmone.

Cento casi sono ancora troppo pochi per mettere in discussione l’efficacia dell’attuale standard diagnostico, ma i risultati della ricerca sono più che incoraggianti, tanto che – per confermare i dati finora raccolti e pubblicati sull’European Journal of Cardio-Thoracic Surgery – è già in corso una seconda sperimentazione su un numero più significativo di pazienti.

Diagnosticare il tumore fin dalle primissime fasi

È questa la sfida: identificare un numero sempre maggiore di pazienti con cancro nelle primissime fasi. In questi casi infatti, un intervento chirurgico di rimozione della parte di polmone interessata dal tumore e dei linfonodi circostanti consente, in genere, di ottenere la completa guarigione. Grazie alla chirurgia mininvasiva, inoltre, il paziente dopo pochi giorni di degenza può tornare a casa e riprendere velocemente le attività quotidiane. Non è neanche necessario che si sottoponga a cicli di radio o chemioterapia.

Cellule staminali per bloccare la degenerazione del disco

Non si sente spesso parlare di ricerca sulla colonna vertebrale, ma le patologie che colpiscono quest’ultima sono una delle cause più frequenti di invalidità tra le persone in età lavorativa.

Nella maggior parte dei casi è la lesione del disco intervertebrale a causare artrosi, ernie del disco, instabilità e perdita dei rapporti tra le vertebre. Un danno che si manifesta con la perdita dell’acqua e delle sostanze contenute in questo vero e proprio ammortizzatore che permette di ricevere i pesi caricati sulla colonna vertebrale.

Per questo, l’obiettivo della ricerca sulla colonna vertebrale condotta dalla nostra Unità di Ricerca di Ortopedia è reidratare il nucleo del disco attraverso il contatto con le cellule staminali.

Una cell factory per la ricerca sulla colonna vertebrale

Dopo una prima fase sperimentale, i nostri ricercatori stanno ora perfezionando tecniche microchirurgiche per bloccare la degenerazione del disco danneggiato. Tuttavia la quantità di cellule staminali prelevabili da un individuo è ridotta: per questo occorre favorire la loro riproduzione prima dell’impianto.

La ricerca sulla colonna vertebrale UCBM punta allora a creare un ambiente di riproduzione cellulare, una cell factory in house che, al costo di 300 mila euro, permetterà la sperimentazione su 15 individui nei prossimi 2 anni, all’interno di un progetto multicentrico internazionale.

Un obiettivo ambizioso, ma fondamentale per la ricerca sulla colonna vertebrale e di conseguenza per la salute di molti. Una sfida cui ha già contribuito anche la grande generosità del Maestro Ennio Morricone, ma per la quale c’è ancora bisogno del tuo sostegno.

Tornare alla normalità dopo un ictus

L’ictus in Italia colpisce una persona ogni tre minuti. È la terza causa di morte e la prima di disabilità per la popolazione adulta. Dopo un ictus la riabilitazione neuromotoria permette di ottenere importanti miglioramenti, ma spesso il recupero è incompleto. Per questo la ricerca sull’ictus è fondamentale.

Stimolazione nervosa non invasiva, robot e realtà virtuale

Da anni la nostra ricerca sull’ictus è impegnata in campo neurologico, fisiatrico e bio-ingegneristico a sviluppare approcci innovativi per il recupero funzionale a seguito dell’ictus.

“Partendo da studi sulle tecniche di stimolazione nervosa non invasiva, come quella cerebrale elettromagnetica e quella vagale transcutanea, stiamo mettendo a punto protocolli innovativi per potenziare le capacità di recupero del cervello umano dopo un ictus”. È il prof. Vincenzo Di Lazzaro, Primario di Neurologia, a spiegare lo stato di avanzamento della ricerca, che prevede tra l’altro – accanto alla stimolazione nervosa non invasiva – l’ausilio di sistemi robotici e dispositivi connessi alla realtà virtuale.

Facilitare il recupero post ictus

In particolare, i protocolli innovativi messi a punto dai nostri ricercatori partono da studi iniziali molto promettenti e puntano a caratterizzare da un punto di vista funzionale il danno cerebrale conseguente all’ictus, individuando le strutture sopravvissute e potenziandone la funzione.

L’obiettivo è migliorare le performance motorie e il recupero dell’autonomia nella quotidianità, per consentire un più adeguato reinserimento sociale e familiare del paziente.