La battaglia contro il coronavirus non è finita. Mentre il nostro centro vaccinaleè impegnato a mettere in sicurezza la popolazione, i nostri ricercatori stanno studiando il ruolo della genetica nello sviluppo del virus. Alcune persone infatti diffondono più marcatamente il contagio e si ammalano più facilmente e con una carica virale maggiore. Perché? La risposta è nelle difese immunitarie.
I nostri ricercatori hanno finora raccolto 22 famiglie e ne hanno analizzate 20 con un pannello di 43 geni associati alla risposta immunitaria all’infezione virale. Tra i circa 120 individui che sono stati analizzati in totale, sono state individuate circa 110 varianti genomiche. Il passo successivo consiste ora nell’analisi bioinformatica, nella correlazione statistica tra le varianti e il grado di gravità dei sintomi manifestati in seguito all’infezione. Si studieranno in maggiore dettaglio un piccolo numero di famiglie, risultate più informative all’analisi preliminare.
Una ricerca innovativa
Il progetto di ricerca è trasversale e innovativo, perché focalizzato in particolare sulla variabilità genetica e clinica all’interno delle famiglie. Questa potrà fornire informazioni preziose per la lotta al Covid-19, dati fondamentali anche dopo l’arrivo del vaccino, per capire chi è geneticamente più resistente e chi non vi risponderà affatto.
La ricerca ha un costo complessivo di 200 mila euro. La tua donazione è fondamentale per aiutarci in questa battaglia. Sei pronto a sostenerci?
Spiegano i nostri ricercatori che, come per tutte le malattie infettive, anche per il Coronavirus l’effetto clinico e la rapidità di contagio dipendono in larga misura dal modo in cui ciascun individuo è in grado di difendersi rispetto alle strategie di attacco del virus. Se da un lato il virus SARS-COV-2 sembra attaccare tutti con le stesse armi, non mutando in maniera determinante il proprio programma genetico, dall’altro le difese immunitarie possono fare la differenza.
Le persone non geneticamente in grado di chiudere le porte al virus – i cosiddetti superspreaders – diffondono più marcatamente il contagio e si ammalano più facilmente e con una carica virale maggiore. Sono loro a sviluppare i sintomi più gravi e, in molti casi, a non sopravvivere. Al contrario, chi è geneticamente più dotato di armi contro il virus non contrae l’infezione o rimane asintomatico.
Identificare quali fattori genetici svolgono un ruolo chiave nel contagio e nella gravità dei sintomi da SARS-COV-2 è un passo importante per scoprire nuove cure.
Questo il piano d’azione dei nostri docenti e ricercatori Fiorella Gurrieri, Massimo Ciccozzi, Marcello D’Amelio, Giorgio Minotti, Emanuela Salvatorelli e Silvia Angeletti:
verificare l’impatto del profilo genetico individuale sulle caratteristiche cliniche e sulla progressione della malattia da Covid-19
identificare varianti genetiche di suscettibilità e di protezione nei confronti della malattia, ad esempio legate al genere e alla regionalità
inserire le varianti genetiche in un modello cellulare ingegnerizzato per ricapitolare in vitro l’infezione da Covid-19
comprendere la patogenesi della malattia e testare rapidamente nuovi farmaci.
I nostri ricercatori sono pronti a raggiungere questo traguardo importante per salvare vite umane.
Preferisci donare con bonifico? IBAN IT79G0569603211000007355X84
Causale: Ricerca Coronavirus
Una donazione di 45 mila euro a sostegno della ricerca sull’autismo promossa dal nostro Ateneo. Bricofer, l’azienda italiana leader nel settore del fai da te, aveva scelto di proporre ancora una volta ai suoi clienti di donare 1 euro alla cassa per i nostri progetti di ricerca. Ora, grazie a questa iniziativa di responsabilità sociale, i fondi raccolti dal 1° dicembre 2017 al 6 gennaio 2018 sostengono la ricerca per la diagnosi precoce e una terapia sempre più mirata.
Un progetto che garantirà terapie più mirate
I fondi raccolti da Bricofer finanzieranno in particolare un progetto specifico che, lungo l’arco di tre anni, trasferirà progressivamente le conoscenze acquisite dai ricercatori dai modelli sperimentali alla realtà del paziente. L’obiettivo finale? Giungere a una terapia sesso-mirata, perché gli uomini possono rispondere ai farmaci in maniera differente rispetto alle donne, e viceversa. Sapere a priori che un uomo o una donna ha una specifica variante genica, offre quindi l’opportunità di essere più mirati nelle terapie.
Il progetto – guidato dal prof. Marcello D’Amelio, docente di Neuroscienze Molecolari – prevede la copertura dei costi del contratto di una persona dedicata, di una piccola attrezzatura per la biologia molecolare e dei reagenti necessari alla sperimentazione di laboratorio.
L’impegno di Bricofer dal 2012
Bricofer sostiene i nostri progetti di ricerca sull’autismo dal 2012. Le sue donazioni in questi anni hanno finanziato il lavoro di giovani borsisti e ricercatori e contribuito all’acquisto di strumentazioni di laboratorio fondamentali per scoprire la causa genetica dell’autismo.
Ridare il tatto a chi è stato amputato
La perdita di una mano in seguito a un evento traumatico è un danno devastante subìto ogni anno da circa 4 mila persone in Italia. Un drastico cambiamento che impatta non solo sull’ambito lavorativo, ma anche sulla sfera personale, limitando fortemente le capacità di compiere attività quotidiane e di interagire con le persone.
Per questo il nostro ateneo è da sempre in prima linea nella neuroprotesica, con un’attenzione particolare al tema del recupero delle capacità sensoriali, grazie all’utilizzo di interfacce neurali.
LifeHand, la prima protesi controllata dal pensiero
Nel 2008, per la prima volta un paziente è riuscito a muovere un arto bionico attraverso la propria mente. LifeHand, questo il nome della prima protesi capace di rispondere agli impulsi cerebrali, è stata il risultato di un progetto finanziato dall’Unione Europea, con il coordinamento dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Proprio nel nostro policlinico universitario sono stati impiantati nel braccio di Pierpaolo Petruzziello i quattro elettrodi che gli hanno permesso di controllare la mano robotica durante il mese di sperimentazioni.
LifeHand 2, la prima mano bionica che ‘sente’ gli oggetti
LifeHand 2, la prima mano bionica indossabile che restituisce all’amputato sensazioni tattili, è stata sperimentata nel 2014 dai nostri medici e bioingegneri insieme all’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’IRCSS San Raffaele di Roma, la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, l’Ecole Polytechnique Federale di Losanna e l’Istituto IMTEK dell’Università di Friburgo.
PPR2, con Inail per restituire le sensazioni propriocettive
Risale sempre al 2014 la partnership tra il nostro ateneo e Inail, l’Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro. Obiettivo, lo sviluppo di una nuova mano bionica impiantabile basata sull’utilizzo di interfacce neurali, per restituire ai pazienti amputati anche sensazioni propriocettive, ovvero la capacità di riconoscere la posizione del corpo nello spazio.
Il sistema protesico è stato quindi ottimizzato dal 2017 al 2019 attraverso l’introduzione di componenti fortemente miniaturizzate, stabili e biocompatibili, per migliorare concretamente la quotidianità dei pazienti.
Sensibilia, il futuro è realtà
L’ultimo passo in avanti si chiama Sensibilia. Una mano bionica che, impiantata in modo sperimentale nel 2019 su Clara, amputata 30 anni prima in seguito a un incidente domestico, ha dimostrato che è possibile compiere con destrezza movimenti anche complessi.
Al termine del progetto, realizzato dal nostro ateneo insieme al Centro Protesi Inail, Clara ha ricevuto una mano bionica simile a quelle della sperimentazione.
Reshape, per mani bioniche percepite come proprie
Ma se il presente si chiama Sensibilia, il futuro è Reshape. Il progetto del dott. Di Pino, laureato in Medicina e Chirurgia, dottorato in Ingegneria Biomedica e specializzato in Neurologia nel nostro ateneo, coniuga Neuroscienze, Ingegneria Biomedica e Clinica Neurologica per permettere agli amputati di non sentirsi più tali, grazie a una mano bionica percepita come propria. La sua idea – passare dal concetto di protesi (dal greco, artefatto, qualcosa di esterno) a quello di endotesi (qualcosa che faccia parte del corpo) – ha convinto nel 2015 a Bruxelles oltre trenta top scientists, tra i quali alcuni Nobel, e ha vinto quindi il prestigioso bando europeo ERC-Starting Grant.
“Il problema – spiega il ricercatore – è che le protesi di oggi sono il frutto dell’evoluzione della robotica industriale e rimangono un corpo estraneo. Il mio desiderio è allora quello di concepire una protesi con cui il soggetto non debba suonarci il piano, ma sentirsi completo durante una serata di gala. E questo è possibile solo partendo dalle sensazioni e dai processi cerebrali umani”.
WiFi-MyoHand, RGM5 e 3DAID
Nella primavera 2021, in collaborazione con il Centro Protesi Inail di Budrio e con la partecipazione della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, il nostro ateneo ha avviato tre nuovi progetti nel campo delle protesi bioniche di arto superiore. WiFi-MyoHand svilupperà una nuova protesi bionica con ritorno sensoriale grazie a un sistema di stimolazione neurale completamente impiantabile e wireless. RGM5 individuerà nuove procedure di chirurgia bionica per l’adattamento del corpo dell’amputato alle protesi più innovative e restituirà la propriocezione. 3DAID realizzerà protesi e ortesi di mano innovative e low-cost grazie all’utilizzo di tecniche avanzate di prototipazione rapida con stampa 3D.
Nemmeno la pioggia ha fermato Bicinrosa, pedalata solidale per le vie del centro storico di Roma promossa dalla Breast Unit del nostro Policlinico Universitario. Proposta quest’anno domenica 22 settembre, in concomitanza con la Rome Half Marathon Via Pacis, ha sensibilizzato le donne e la popolazione in generale sull’importanza della prevenzione e della cura del tumore al seno, grazie alla partecipazione di decine di persone che, nonostante la pioggia, hanno scelto di scendere in campo – anzi, in strada – contro questa patologia.
La manifestazione sportiva amatoriale, partita dapiazza Pia, in via della Conciliazione, e terminata in piazza della Chiesa Nuova (4.6 i chilometri percorsi da ciascun partecipante), è stata organizzata in collaborazione con l’Associazione Amici dell’Università Campus Bio-Medico di Roma Onlus e la Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, con il supporto tecnico organizzativo dei volontari Bicinrosa, di Europe Direct Roma Innovazione e di ASD Ciclismo Lazio.
Nessuno perde. Tutti vincono! Con questo slogan sono stati raccolti 1.405 euro, somma che sosterrà i progetti di ricerca promossi dalla nostra Breast Unit.
Le malattie reumatiche sono a livello internazionale le malattie croniche più frequenti e, in Europa, la prima causa di dolore e disabilità (fonte: OMS). In Italia, artrite e artrosi colpiscono il 17,3% della popolazione mentre l’osteoporosi il 7,3%, con frequenza circa doppia nelle donne (Istat 2010). Sempre nel nostro Paese, sono la seconda causa di prescrizione di farmaci.
I pazienti affetti da malattie reumatiche subiscono una riduzione significativa della qualità di vita. Soprattutto le malattie reumatiche a genesi infiammatoria – come ad esempio le artriti croniche – sono accompagnate infatti da sintomi estremamente invalidanti quali il dolore acuto e/o cronico e la fatigue, una combinazione di debolezza generalizzata, debolezza muscolare, mancanza di energie e stanchezza mentale. Le malattie reumatiche sono gravate inoltre da un’elevata frequenza di sintomi depressivi, di disturbi d’ansia e di disturbi del sonno.
Un progetto di ricerca e prevenzione contro le malattie reumatiche
Avere una malattia reumatica e, al contempo, vivere bene è oggi quasi impossibile. Proprio per questo Vivere con una malattia reumatica – Vivere in salute è il titolo del progetto di ricerca dell’Unità Operativa di Immunoreumatologia, guidata dalla prof.ssa Antonella Afeltra. Due gli obiettivi dei nostri medici e ricercatori: un approfondimento epidemiologico degli stili di vita a rischio nei pazienti con malattie reumatiche e la promozione di uno stile di vita sano come misura di prevenzione.
Percorsi personalizzati per uno stile di vita sano
Due sono quindi anche le fasi del progetto. La prima dedicata a un’indagine epidemiologica sui fattori di rischio, prendendo in considerazione stili di vita quali fumo, sovrappeso e obesità, abitudini alimentari e sedentarietà. La seconda prevede invece la sperimentazione e il perfezionamento di un programma di prevenzione basato su tre diversi principi: la misura dei fattori di rischio, l’educazione del paziente riguardo alle loro conseguenze per la salute e l’ideazione di strategie per contrastare i fattori di rischio stessi.
Tra le proposte fatte ai pazienti – 50 al mese a partire da febbraio 2021 – anche programmi personalizzati di attività fisica da remoto, corsi di cucina, indicazioni dietetiche personalizzate, programmi per smettere di fumare, percorsi individualizzati per promuovere uno stile di vita sano e incontri con specialisti in scienze della nutrizione, dietisti, giornalisti enogastronomici e chef.
Una scoperta storica sull’origine del morbo d’Alzheimer
Una scoperta che ha fatto subito il giro del mondo, aprendo nuove frontiere per la cura del morbo d’Alzheimer. Secondo lo studio coordinato dal prof. Marcello D’Amelio e dalla sua Unità di Ricerca di Neuroscienze molecolari, l’origine dell’Alzheimer non risiede nella parte del cervello legata alla memoria, ma in quella deputata all’umore. Una tesi già confermata da una sperimentazione su pazienti svolta dall’Università di Sheffield, in Inghilterra, e che ora, pubblicato su Nature Communications, è uno degli studi più citati nella comunità scientifica internazionale.
Alla ricerca di una cura per l’Alzheimer
Raramente i risultati della ricerca di laboratorio raggiungono rapidamente l’applicazione clinica sul paziente. Non è questo il caso della scoperta del prof. D’Amelio e della sua équipe di ricerca, che potrebbe cambiare presto la vita di chi soffre di questa patologia neurodegenerativa – la più comune forma di demenza – per la quale per ora non esiste cura efficace.
Aprile 2017 – Il team UCBM scopre l’origine dell’Alzheimer
Il team del prof. D’Amelio scopre che l’Area Tegmentale Ventrale (VTA) – un’area del cervello che regola diverse funzioni quali ad esempio quella della gratificazione – va incontro a degenerazione molto prima che si formino le caratteristiche placche di beta-amiloide nelle aree del cervello storicamente associate alla malattia.
Marzo 2018 – Uno studio inglese su pazienti conferma la scoperta
Uno studio dell’Università di Sheffield (Inghilterra) dimostra con tecniche di risonanza magnetica nucleare che la VTA è effettivamente coinvolta nelle fasi precoci di malattia di Alzheimer. È la prima conferma sull’uomo. Il prof. D’Amelio la commenta in un editoriale sul Journal of Alzheimer’s Disease, rivista su cui è pubblicato il lavoro prodotto dal gruppo inglese.
Settembre 2018 – Uno studio italiano aggiunge nuovi dettagli
Uno studio tutto italiano, sotto la spinta del prof. D’Amelio, aggiunge ulteriori dettagli sul coinvolgimento della VTA in pazienti a diverso grado di sviluppo di malattia e che presentano alterazioni delle funzioni non-cognitive (ad esempio apatia, disturbi del sonno e dell’appetito).
Maggio 2018 – Iniziano le ricerche per la sperimentazione di nuovi farmaci
L’americana Alzheimer’s Association assegna al prof. D’Amelio un finanziamento triennale per ulteriori ricerche finalizzate alla sperimentazione preclinica di farmaci capaci di ridurre o addirittura bloccare la degenerazione della VTA. Le ricerche sono attualmente in corso.
Febbraio 2019 – Una ricerca valuta l’efficacia della musica contro l’Alzheimer
Farmindustria decide di sostenere la ricerca del prof. D’Amelio sponsorizzando uno studio non farmacologico. Poiché è noto che l’ascolto di alcuni tipi di musica funge da potente stimolatore della VTA, lo studio punta a stimolarla proprio in questo modo. La ricerca, attualmente in corso, valuterà l’efficacia della musica nel rallentare la progressione del morbo d’Alzheimer.
Giugno 2021 – Trovata la chiave per la diagnosi precoce
Un nuovo studio promosso dall’IRCCS Santa Lucia insieme ai nostri ricercatori e all’Università di Torino ha individuato nelle lesioni dell’area tegmentale ventrale (VTA) la capacità di predire lo sviluppo dell’Alzheimer, scoprendo così una finestra di intervento di due anni prima che la malattia si manifesti. La scoperta ha aperto nuovi importanti scenari per la diagnosi precoce.
L’impegno dei ricercatori continua
L’impegno quotidiano del prof. D’Amelio e del suo team continua quindi in laboratorio, per offrire presto nuove possibilità di cura a quanti soffrono della malattia di Alzheimer: circa il 5% della popolazione mondiale sopra i 60 anni, 1 milione di persone solo in Italia. Un numero che – dato il continuo invecchiamento della popolazione – potrebbe triplicare nei prossimi 40 anni, con costi sociali ed economici elevatissimi. Al lavoro dei nostri ricercatori è rivolta la speranza di tutti i pazienti e soprattutto dei loro cari.
Nessuno perde. Tutti vincono! Questo lo slogan di Bicinrosa, pedalata solidale per le vie del centro storico di Roma promossa in concomitanza con la Rome Half Marathon Via Pacisdalla Breast Unit del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, in collaborazione con l’Associazione Amici dell’Università Campus Bio-Medico di Roma Onlus e la Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, con il supporto tecnico organizzativo dei volontari Bicinrosa, di Europe Direct Roma Innovazione e di ASD Ciclismo Lazio.
Bicinrosa è una manifestazione sportiva amatoriale che mira a sensibilizzare le donne e la popolazione in generale sull’importanza della prevenzione e della cura del tumore al seno. La pedalata partirà daPiazza Pia – Via della Conciliazione alle ore 9.40 e terminerà in piazza della Chiesa Nuova alle 11, per circa 4.600 km.
“Ho perso mio padre quando ero piccola e lui nemmeno quarantenne. Il cancro ha sconvolto la vita di tutta la mia famiglia. Per questo, quando mi hanno chiesto di prendere parte all’evento, non ho esitato nemmeno un attimo”. Ilaria Tarquini, ancora giovanissima, è una degli otto professionisti che giovedì 23 maggio, all’interno dell’Accademia L’Oréal a Roma, hanno donato il proprio tempo e le proprie competenze a favore delle pazienti oncologiche. Una piega contro il cancro al seno: questa l’idea alla base dell’evento solidale che – secondo le partecipanti – “ha saputo coinvolgere e sensibilizzare su un tema serio in modo però leggero”.
Innamorata di vita, progetto dei Rotary e Rotaract Club di Roma
Egizia Staff, Federico Faragalli, Orazio Anelli, Monica Marchetti, Revolution, Riggi e Riggi, Saccucci Masterclass, Vasco e Roby. Questi i saloni del mondo L’Oréal e Kerastase che hanno aderito all’iniziativa Innamorata di vita, promossa a due passi da piazza di Spagna dai Rotary Club Roma Giulio Cesare, Roma Appia Antica, Roma Tevere e Roma Sud Est, insieme ai Rotaract Club degli studenti dell’Università Luiss Guido Carli, Roma Olgiata Tevere e Palatino, in collaborazione con l’Associazione Amici dell’Università Campus Bio-Medico di Roma Onlus.
Un pomeriggio che rientra in un progetto più ampio dedicato alla prevenzione e alla lotta contro il tumore al seno, con una particolare attenzione al diritto alla bellezza delle pazienti oncologiche. Protagonisti quindi i capelli e la loro cura, grazie alla generosità dei professionisti L’Oréal e Kerastase che hanno pettinato una cinquantina di donne partecipanti all’iniziativa.
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Un gesto di solidarietà a favore delle pazienti oncologiche
I fondi raccolti grazie alle pieghe solidali sosterranno ora la Banca della parrucca, per offrire parrucche e copricapo alle donne in difficoltà economica; garantiranno screening gratuiti di prevenzione del tumore al seno, presso l’Unità Operativa di Senologia del nostro Policlinico Universitario; contribuiranno a coprire i costi del test Prosigna, in Italia non ancora rimborsabile dal Servizio Sanitario Nazionale.
Quello che solitamente è per eccellenza un momento di ricerca del proprio benessere personale si è trasformato così – anche solo per qualche ora – in un gesto di generosità capace di custodire la bellezza di altre donne.
Un pomeriggio insieme ai parrucchieri professionisti del mondo L’Oréal e Kérastase per sostenere il progetto Innamorata di vita. Con un donativo di 15 euro, la tua piega contribuirà all’acquisto di parrucche e kit di screening per attività gratuite di prevenzione del tumore al seno.
Per informazioni e prenotazioni, scrivi a questo indirizzo e attendi l’e-mail di conferma.
I disordini del cammino sono frequenti nella popolazione anziana e la loro prevalenza aumenta con l’avanzare dell’età. Per questo due progetti dell’Area di Riabilitazione, guidata dalla prof.ssa Silvia Sterzi, mirano ad aiutare gli anziani a camminare con più facilità e sicurezza.
“I disordini del cammino possono avere varie cause. – spiega la dott.ssa Federica Bressi, medico e ricercatrice della stessa area – “Sarcopenia, riduzione della mobilità articolare, minore efficienza della trasmissione neuromuscolare e disturbi cognitivi sono le principali. Numerose anche le conseguenze: dal senso di instabilità nella marcia e dalla riduzione della mobilità, che porta alla perdita di automatismi nel mantenimento dell’equilibrio e dell’indipendenza, fino alla paura di cadere – che immobilizza i pazienti – e alle vere e proprie cadute”.
La dott.ssa Bressi e tutta l’Area di Riabilitazione sono impegnate quotidianamente a ridurre le difficoltà del cammino negli anziani. Per questo lavorano a due diversi progetti di ricerca: il primo all’interno del laboratorio dedicato alla valutazione della deambulazione (BTS Smart System – BTS GWALK), il secondo presso l’ambulatorio e la palestra utilizzati per la valutazione e il trattamento del rischio di caduta e per il training per l’equilibrio (treadmill Walker view).
Il loro contributo scientifico è fondamentale pergarantire serenità agli anziani e ai loro cari.