A fianco della popolazione rurale del Cañete
La maggior parte degli abitanti della Valle del Cañete, in Perù, vive all’interno di agglomerati di case non finite e baracche fatte di legno, lamiera e teli di plastica, con rete idrica precaria o assente e rete fognaria altrettanto fatiscente. La vita è molto dura soprattutto per le donne. Poiché i mariti sono di solito lontani, per lavorare nelle miniere dalle quali spesso non fanno ritorno, sono loro a dover pensare a tutto: crescono i figli e intanto lavorano, spesso in modo pesante e precario nel settore agricolo.
L’impegno di UCBM nella Valle del Cañete
Nato nel 2012 dalla collaborazione con Condoray e la Caritas locale, i workcamp in Perù sono progetti di supporto alla popolazione rurale che abita nel distretto della Valle del Cañete, nella provincia di Lima. Proposti ogni anno alle nostre studentesse, finora ne hanno coinvolte 275 in azioni di prevenzione, screening e sostegno allo sviluppo, con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita della popolazione locale. A guidarli, fino ad oggi, una cinquantina tra docenti, medici, specializzande e dottorande.
Attività sociosanitarie e formative, per diffondere informazioni corrette su alimentazione, nutrizione dei bambini, educazione sessuale, igiene della casa e della persona. Questo nello specifico il cuore del nostro impegno. Con particolare attenzione alla formazione delle promotoras, donne dei villaggi che innescano poi una catena virtuosa nel territorio cui appartengono, mappando e sostenendo le persone più fragili che lo abitano. Centinaia, inoltre, le visite mediche e le consulenze nutrizionali nelle baraccopoli rurali e nelle scuole. Nel 2018, ad esempio, in una sola giornata abbiamo visitato circa 80 persone, dai 6 agli 80 anni, in un piccolo paese sulle Ande. Nel 2019, sono state invece visitate in tutto 800 persone, da 6 mesi a 88 anni.
Dalla ribellione di fronte all’ingiustizia all’impegno
Ma l’impegno delle volontarie non si ferma. Tra le nuove idee, la produzione di sapone allo zolfo e la realizzazione di piccoli orti domestici. Ma anche lezioni interattive per educare ragazzi e ragazze alla dimensione affettiva e sessuale.
“Da parte delle studentesse c’è sempre il momento della ribellione davanti all’ingiustizia sociale”, racconta la prof.ssa Rossana Alloni, da anni alla guida dei workcamp. “Si chiedono perché quelle ragazze della loro stessa età abbiano come unica prospettiva il raccogliere patate o mandarini, mentre loro sono di fronte alla scelta della specializzazione negli studi: Cardiologia o Ingegneria biomedica? Ma c’è sempre la possibilità che la persona emerga in tutto il suo splendore, anche in questi contesti. È già accaduto a molte donne, e ad altre vogliamo che accada ancora”.
La pandemia ha peggiorato le condizioni di vita
Poiché la pandemia ha bloccato i viaggi, dal 2020 UCBM sta seguendo la situazione a distanza. Abbiamo uno scambio continuo con Caritas, che ha bisogno di supporto perché i suoi assistiti si sono moltiplicati proprio a causa dell’emergenza sanitaria e del conseguente aumento della povertà. Grazie a Caritas, le fasce più deboli della popolazione peruviana possono trovare buone cure e farmaci sicuri, non contraffatti, ma soprattutto accoglienza e sostegno alimentare ed educativo.
Aiutaci ad acquistare la strumentazione medica
Per questo è ancora più importante sostenere l’acquisto di strumenti medicali per gli ambulatori: glucometri, otoscopi, mascherine chirurgiche, misuratori di emoglobina, pulsossimetri, radiografie dentali per bambini. Data la situazione di emergenza attuale, il materiale verrà acquistato direttamente dai responsabili di Caritas e Condoray in Perù, presso rivenditori di fiducia. Vi ringraziamo fin d’ora per il vostro prezioso aiuto!
Dona ora
Il Covid-19 ha portato, insieme alla malattia, anche un lungo strascico di problemi di natura socio-economica: dalla perdita del lavoro alla solitudine, dal collasso della prevenzione sanitaria all’interruzione dei sistemi dell’istruzione. Allo stesso tempo, la pandemia ha dimostrato in modo ancora più evidente quanto la nostra impronta sull’ambiente e sul pianeta possa generare effetti a catena disastrosi per l’uomo e per l’intero ecosistema.
La pandemia ha aggravato le diseguaglianze, ha esacerbato le povertà e ne ha create di nuove. Accanto a una inedita crisi sanitaria, ha generato una diffusa situazione di povertà educativa con la più grande interruzione mondiale dei cicli scolastici nella storia dell’ultimo secolo; ha rimarcato le differenze di genere; ha messo in discussione tanti diritti: dalla cura all’eguaglianza di genere, all’istruzione, al lavoro. Non ultimo, ha evidenziato in modo drammatico l’impatto del nostro stile di vita sull’ambiente. “Questa pandemia lascerà a lungo dietro di sé una scia di nuovi e vecchi bisogni a cui rispondere – spiega Rossano Bartoli, portavoce del Comitato Testamento Solidale e Presidente della Lega del Filo d’Oro – ma per farlo, serve il supporto di ciascuno di noi, serve una sorta di vaccino contro l’indifferenza, per stimolare gli anticorpi della generosità e dell’altruismo“.
Un vaccino contro l’indifferenza
Secondo il Comitato Testamento Solidale, coordinamento di 23 tra le più importanti organizzazioni non profit in Italia di cui anche il nostro Ateneo fa parte, a fronte delle tante crisi che la pandemia ha aperto anche sul fronte sociale, economico, culturale e ambientale, esiste quindi un vaccino di straordinaria efficacia e con nessuna controindicazione: la solidarietà.
Il testamento solidale è un importante componente di questo “vaccino contro l’indifferenza”, perché è una risposta altruistica che guarda al bene di chi resta. Soprattutto, è un gesto alla portata di tutti, perché anche con piccole somme o beni si può contribuire a portare sollievo dove c’è una sofferenza o un bisogno, senza ledere in alcun modo gli interessi di eventuali legittimi eredi.
Scopri come fare
“Certi amori non finiscono” cantava Antonello Venditti, e talvolta è così, letteralmente: tante sono state le coppie che un generoso testamento ha mantenuto unite anche dopo la dipartita di uno dei due partner. Lo ricorda, in occasione della festa di San Valentino, il Comitato Testamento Solidale, di cui – insieme ad altre 21 organizzazioni non profit – fa parte anche il nostro Ateneo. Del resto, come ricorda lo stesso comitato, anche il lascito solidale è un gesto di grande amore che vince la morte e permette, a chi lo fa e a chi ne beneficia, di rimanere indissolubilmente uniti attraverso un nuovo progetto di vita.
Un gesto d’amore che vince la morte
Alcune storie sembrano arrivare direttamente dai libri di favole. Come quella del Principe Enrico di Danimarca, membro della famiglia reale francese che è stato un accorto diplomatico anche dopo il matrimonio con la regina Margherita di Danimarca: a lei ha lasciato in eredità i 3,5 milioni di euro che costituivano il suo patrimonio personale. Volando oltreoceano, il senatore John McCain – meglio conosciuto come il candidato repubblicano sconfitto alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti del 2008 da Barack Obama – ha lasciato i 175 milioni di euro del suo patrimonio alla sua vedova, Cindy McCain.
Anche il jet set riporta splendidi esempi di amore coniugale che resiste alla morte. L’attore Philip Seymour Hoffman, interprete indimenticato di Boogie Nights e Truman Capote, nel 2018 ha lasciato l’intera eredità di 35 milioni di dollari alla compagna Mimi O’Donnell, escludendo i figli “perché non crescano viziati” (sic). Lo scrittore Tom Wolfe, oltre ad aver lasciato all’umanità un grande patrimonio letterario – pensiamo a best seller come Il falò delle vanità o Un uomo vero – ha destinato invece all’amatissima consorte, Sheila Berger Wolfe, ben 17,5 milioni di euro. E pensiamo alla vedova di Bernardo Bertolucci, Clare Peploe, che alla morte del grande regista è diventata beneficiaria di un testamento da 35 milioni di euro.
Ma a volte i testamenti hanno disvelato veri e propri dispetti post mortem. Come quelli del signor Samuel Bratt, uomo inglese morto nel 1960, che nel suo testamento aveva destinato il suo lascito di 330mila sterline alla moglie con una clausola quantomeno singolare: la donna avrebbe dovuto fumare cinque sigari al giorno. Una vera e propria legge del contrappasso imposta alla consorte, che in vita gli aveva proibito di fumare i suoi sigari in libertà. Ma forse la ripicca più perfida è stata quella riservata da William Shakespeare alla moglie, la quale, dopo un matrimonio durato ben 33 anni, ricevette in eredità soltanto il suo “secondo miglior letto”, destinando alla figlia maggiore il suo ingente patrimonio.
Un gesto alla portata di tutti
Ma per compiere un vero atto d’amore non serve avere patrimoni di grande portata: tutti possono rimanere legati per sempre al destino e al futuro di un’altra persona, così come all’attività di un’organizzazione, grazie all’ultimo gesto di altruismo: il lascito solidale. Come testimoniano le associazioni che fanno parte del Comitato Testamento Solidale, sono soprattutto le migliaia di persone “comuni” che, optando per questa scelta, hanno fatto e continuano a fare la differenza. “Essere generosi non è una questione di tasche, ma di cuore, dice un vecchio adagio. Saggezza popolare che si addice perfettamente al lascito solidale. – spiega Rossano Bartoli, portavoce del Comitato Testamento Solidale – In base a un’indagine Gfk Eurisko, sappiamo che circa la metà dei lasciti è sotto i 20 mila euro, un quarto ammonta a una cifra tra 20 mila e 50 mila euro e il restante quarto supera i 50 mila euro. Il bello, in una fase storica così complessa e difficile, è che la pandemia da Covid-19 ha in qualche modo accentuato questa predisposizione”.
Secondo una ricerca diffusa nel settembre 2020, l’11% degli over 50 dichiara infatti di aver pensato a un lascito solidale in seguito all’emergenza Covid-19, mentre 2 su 10 hanno fatto o sono propensi a fare un lascito solidale in favore di un’organizzazione non profit, per un totale di circa 5 milioni e mezzo di persone: quasi il triplo rispetto al 2013.
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I tre insegnamenti della pandemia
È, questa del 2020, una Festa dei Defunti che difficilmente dimenticheremo. Un momento non più solo familiare ma anche collettivo, per stringersi, come comunità, attorno alle famiglie di quanti, nel corso dell’anno, hanno perso i propri cari a causa del Covid-19.
Mai come quest’anno, trovare il modo di parlare della caducità della vita, ai bambini e tra adulti, diventa più importante che mai, per aiutare gli altri e noi stessi a comprendere, accettare, metabolizzare i profondi cambiamenti che il Coronavirus ha portato prepotentemente nelle nostre vite. E non solo in termini di abitudini quotidiane, ma anche di percezione della vita e del futuro.
L’esperienza della pandemia ci lascia tre insegnamenti, che riportano a tre dimensioni: passato, presente e futuro. Lo spiega Mario Pollo, docente di Pedagogia generale e sociale e di Psicologia alla LUMSA di Roma, interpellato dal Comitato Testamento Solidale: “Il primo insegnamento, guardando indietro a quello che abbiamo vissuto, è che abbiamo compreso che nessuna persona si salva da sola, cioè nessuno è autosufficiente. Il secondo è che abbiamo riscoperto, in un’epoca che tende a nasconderla, la nostra fragilità, e anche la nostra mortalità. Questa riscoperta è importantissima, perché è l’unica che fa sviluppare nelle persone una forza interiore che consente loro di affrontare interiormente il presente e le avversità della vita. Il terzo insegnamento invece è l’importanza del futuro. All’interno del tempo in cui siamo stati confinati, in cui il futuro sembrava essere scomparso, assorbito dal presente, abbiamo scoperto come invece questo futuro fosse fondamentale per la nostra vita”.
“Siamo ciò che siamo grazie a chi ci ha preceduto”
Un team dell’Università della California-San Diego ha intervistato un campione di 1042 persone tra i 21 e i 100 anni ed è giunto a una conclusione: è intorno ai 60 anni che troviamo risposta alle domande sul senso della nostra vita. E, in tempi di pandemia, sono sempre di più coloro che questo posto, questo senso lo cercano nella generosità, anche attraverso un lascito solidale.
Secondo la ricerca Gli Italiani e la solidarietà dopo il Coronavirus, commissionata da Comitato Testamento Solidale e realizzata da Walden Lab, dopo il lockdown e in pieno allarme pandemia il 20% degli over 50 dichiara di aver fatto o di essere orientato a fare un lascito solidale in favore di un’organizzazione non profit, l’8% in più rispetto al 2018.
Spiega ancora Pollo: “Nel contesto attuale, il lascito solidale ha un grande valore: ci aiuta a recuperare l’unico tempo della nostra vita che è significativo, il tempo che ci differenzia da tutte le altre specie viventi e che viene chiamato ‘tempo noetico’, cioè la capacità di vivere il presente in relazione al passato e al futuro anche non immediato, non prossimo. Il testamento solidale ci ricorda che siamo ciò che siamo grazie a coloro che ci hanno preceduti. Ciò che noi facciamo nel presente influenzerà la vita delle generazioni che ci seguiranno. Ciò che noi lasciamo in eredità alle nuove generazioni arricchirà la loro vita e anche la nostra, perché noi siamo solidali con tutta l’umanità: quella che ci ha preceduta e quella che ci seguirà. Non siamo delle monadi isolate. Questo elemento ci dice che noi possiamo dare un senso profondo alla nostra vita e anche al nostro morire se abbiamo la capacità di lasciare un’eredità al futuro”.
Un lascito è dunque una delle risposte possibili quando ci si domanda che ricordo lasciare di sé ai posteri, che impronta imprimere sul mondo che verrà.
Anche con una piccola somma si può fare molto
Secondo l’indagine di Walden Lab per Comitato Testamento Solidale, il 72% della popolazione italiana adulta (25-75 anni) sa cosa sia un lascito solidale. Tra gli over 50, il segmento di popolazione più orientato all’idea di fare testamento, la crescita è molto netta: nel 2020 ha raggiunto l’80% (nel 2016 la conoscenza del lascito era pari al 55% e nel 2018 al 58%).
Sostiene Rossano Bartoli, portavoce del Comitato Testamento Solidale e presidente della Lega del Filo d’Oro: “Dal 2013, con il Comitato Testamento Solidale siamo impegnati nel fare cultura su questo importante strumento di donazione. L’emergenza Coronavirus ha reso gli ambiti dei nostri interventi ancora più critici e il sostegno che le organizzazioni non profit possono dare a tante cause sociali è oggi ancora più decisivo. Predisporre un testamento solidale è una scelta di cui tante persone parlano apertamente con i propri famigliari. Non è necessario disporre di grandi patrimoni: si può valutare di destinare a un’organizzazione non profit anche una piccola somma per aiutare gli altri”.
Per fare un lascito, quindi, non servono grandi patrimoni: ogni gesto, anche il più piccolo, genera un impatto che torna moltiplicato in termini di benefici per la società. Ciò non toglie comunque che la scelta del testamento solidale sia stata fatta anche da tanti personaggi celebri, in Italia e nel mondo: da Bill Gates a Giorgio Armani, da Mark Zuckerberg a George Michael, da Elton John a Robin Williams. Ma sono soprattutto le persone “comuni” che, optando per questa scelta in migliaia, hanno fatto e continuano a fare la differenza.
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Una malattia genetica rara che colpisce i bambini
La malattia di Alexander è una malattia neurodegenerativa ultrarara di origine genetica che, nella sua forma più grave, colpisce i bambini nei primi anni di vita. I suoi sintomi – macrocefalia, spasticità, atassia, crisi convulsive e ritardi nello sviluppo psicomotorio – si presentano tra i 6 mesi e i 2 anni d’età e spesso conducono rapidamente al decesso. Rientra tra le leucodistrofie, caratterizzate dall’alterazione e dalla progressiva degradazione della guaina protettrice dei nervi, la mielina. Proprio il suo deterioramento provoca l’interruzione delle trasmissioni dei comandi neuronali e di conseguenza la compromissione del sistema nervoso.
Ciò che oggi è noto è che il meccanismo di degenerazione della mielina è collegato alla presenza di una mutazione in un particolare gene. Come questa modifica causi la malattia di Alexander è tuttavia una questione ancora oggi oggetto di studio.
Trovare una cura per la vita dei bambini
L’obiettivo dello studio del nostro ricercatore Emanuele Mauri – dell’Unità di Ricerca di Ingegneria Tissutale e Chimica per l’Ingegneria, diretta dalla prof.ssa Marcella Trombetta – in collaborazione con il dr. Vasco Meneghini dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) e il dr. Marco Peviani dell’Università di Pavia, è contribuire allo sviluppo di un approccio terapeutico per la malattia di Alexander, e salvaguardare la vita dei bambini che ne sono affetti.
Una promettente strategia, sviluppata dal team di Milano, sembra essere quella del gene editing: intervenire direttamente sul gene stesso, per correggerne la mutazione o “spegnerne” la funzionalità (metodo CRISP/Cas9). Una soluzione possibile grazie alla nanotecnologia promossa da UCBM, che permetterebbe di intrappolare il DNA o l’RNA destinato a intervenire sul gene mutato, e di trasportarlo attraverso la membrana cellulare all’interno delle cellule stesse, per poi rilasciarlo dove può svolgere la sua azione di rimpiazzo o disattivazione della sequenza genetica danneggiata.
Ci aiuti?
Per far questo, però, è necessario un analizzatore delle dimensioni di particella, apparecchiatura che permette di recuperare e studiare le caratteristiche chimico-fisiche di ogni nanoparticella sintetizzata, per verificarne il potenziale e poi procedere ai test. Un particle size analyzer costa tra i 45 mila e i 50 mila euro e permetterebbe di scoprire nuove terapie basate sulla nanotecnologia e destinate a curare i bambini affetti da questa malattia.
Ma non solo. Questa apparecchiatura sarebbe di aiuto anche per l’applicazione delle nanoparticelle in altri scenari critici che stanno ancora cercando una cura risolutiva. Uno di questi è quello dei tumori celebrali e in particolare del glioblastoma multiforme che, una volta diagnosticato, permette una sopravvivenza di circa 15 mesi. L’utilizzo di nanoparticelle, visualizzabili tramite risonanza magnetica o PET e in grado di trasportare molecole chemioterapiche solo nelle cellule tumorali, preservando quelle sane, rappresenterebbe un nuovo approccio terapeutico per i tumori cerebrali ispirato ai principi della medicina di precisione.
Ci aiuti ad acquistare questa importante apparecchiatura?
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Padel, fitness, superjump, step e zumba. E ancora tennis, group cycling, water polo e yoga. Anche fare sport può essere un gesto altruistico e di responsabilità nei confronti del territorio, soprattutto se a pensarlo sono i club sportivi stessi. Per questo l’Enjoy Sporting Club ha promosso Enjoy for humanity, iniziativa solidale a favore del Pronto Soccorso del nostro Policlinico Universitario.
Attraverso l’organizzazione di cinque weekend di sport e un’asta benefica, l’evento ha permesso di raccogliere 8.250 euro a favore di questa nuova struttura sanitaria fondamentale per il territorio. Quasi 7mila gli euro raccolti grazie alle attività sportive, più di 1.250 euro invece la cifra raggiunta con un’asta benefica che ha destinato a generosi partecipanti magliette e oggetti sportivi autografati da grandi campioni.
Domenica 11 ottobre, a conclusione dell’iniziativa, i fondi raccolti sono stati consegnati dall’Enjoy Sporting Club ad Andrea Rossi, direttore generale del nostro Ateneo. Saranno quindi presto investiti a favore della salute di tutti gli abitanti del territorio.
Insomma, a volte, fare sport fa doppiamente bene: a sé e agli altri!
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L’emergenza Coronavirus ha cambiato molte cose, ma non sempre in peggio. Ad esempio, ha favorito la propensione degli italiani verso il testamento e il lascito solidale. Lo rivela la ricerca su “Gli italiani e la solidarietà dopo il Coronavirus”, diffusa in occasione della Giornata Internazionale del Lascito Solidale (13 settembre) e condotta nell’ultima settimana di giugno 2020 da Walden Lab per Comitato Testamento Solidale – di cui fanno parte 22 organizzazioni non profit tra cui anche il nostro Ateneo – con il patrocinio del Consiglio Nazionale del Notariato.
L’indagine, che ha coinvolto un campione di mille casi rappresentativo dei circa 40 milioni di italiani di età compresa tra i 25 e i 75 anni, mostra che l’11% degli over 50 ha pensato a un lascito solidale in seguito all’emergenza Covid-19, mentre 2 su 10 hanno fatto o sono propensi a fare un lascito solidale in favore di un’organizzazione non profit, per un totale di quasi 5 milioni e mezzo di persone.
Lascito solidale, questo ex sconosciuto
L’incremento rispetto al passato è importante. Nel 2018, la percentuale di chi prendeva in considerazione l’idea di un lascito solidale era inferiore di ben 8 punti (al 12%), mentre cresce in modo significativo anche la percentuale di chi dichiara di avere fatto testamento o di essere orientato a farlo: in 4 anni (dal 2016) si è passati dal 13% al 21%. Insomma, la pandemia ha cambiato la nostra visione della vita, ma non in peggio, visto che è aumentata l’attitudine a pensare al futuro degli “altri”.
Ormai, il 72% della popolazione italiana adulta (25-75 anni) sa cosa sia un lascito solidale. Tra gli over 50, il segmento di popolazione più orientato all’idea di fare testamento, la crescita è molto netta: nel 2020 ha raggiunto l’80% (nel 2016 era pari al 55%, nel 2018 al 58%).
1 italiano su 2 è più altruista
In generale, la paura e lo choc per quanto vissuto non ci hanno resi più egoisti: 1 italiano su 2 si sente più sensibile alle sofferenze e alle difficoltà degli altri; molti sono più preoccupati per il bene comune (49%), più propensi alla solidarietà verso il prossimo (45%), disponibili a sostenere una buona causa facendo volontariato (31%) o donazioni (25%).
Nel corso del 2019, il 21% ha donato a una onp per una causa solidale, mentre nel primo semestre del 2020 la percentuale raggiunge il 28%, con un incremento di ben 7 punti. Il lascito solidale dunque è un aspetto di una più generale tendenza: l’emergenza Covid-19 ha spinto in alto la generosità degli italiani e il loro senso di solidarietà verso il prossimo.
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Un nuovo Pronto Soccorso per Roma. Un sogno che, grazie al sostegno di tanti, dal 1° settembre è diventato realtà! Ha aperto, finalmente, il Pronto Soccorso del nostro Policlinico Universitario. Una struttura di 2100 metri quadrati, accogliente, sicura e dotata delle più recenti tecnologie, accreditata Joint Commission International e realizzata seguendo i più aggiornati modelli organizzativi, tecnologici e di triage. Un servizio pensato per un bacino potenziale di circa 300mila residenti, per un afflusso stimato in 45mila accessi annui.
Anche in tempo di pandemia. Per i pazienti che dovessero risultare positivi al tampone (da trasferire pertanto in un ospedale Covid), nel mese di luglio è stato infatti costruito un Percorso Protetto Covid totalmente separato, che si estende su ulteriori 300 metri quadrati.
Pronto ad accogliere
All’inaugurazione hanno preso parte, tra gli altri, il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, il Vice Ministro alla Salute Pierpaolo Sileri, il sindaco di Roma Virginia Raggi e l’assessore alla Sanità e all’Integrazione socio-sanitaria della Regione Lazio Alessio D’Amato. Mons. Paolo Ricciardi, vescovo ausiliare con delega alla pastorale sanitaria, ha benedetto la struttura.
Come ha detto Felice Barela, presidente del nostro Ateneo, “siamo felici di poter dare questo ulteriore contributo al nostro Servizio Sanitario, fieri di essere uno dei nodi di questa ‘rete di protezione’ dei nostri concittadini”. Per Paolo Sormani, direttore generale del Policlinico Universitario, “il nostro vuole essere un Pronto Soccorso che accoglie, ascolta, comunica, si fa carico, assiste e cura”.
Il Pronto Soccorso è pensato per assicurare cure tempestive per tutte le patologie – in particolare, quelle cerebro-vascolari acute (ictus), vascolari acute (aneurismi) e cardiopatie acute (infarti) – oltre che per tutti i casi di traumatologia e di patologie chirurgiche acute.
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Praticare la terapia della dignità
Garantire la migliore qualità delle cure per i pazienti in fase avanzata di malattia offrendo al territorio un servizio ispirato ad una visione olistica dell’assistenza alla persona. Con un totale di 60 posti autorizzati dalla Asl Roma2 – 12 residenziali e 48 in assistenza domiciliare – è nato il 16 dicembre 2020 all’interno del CESA, il Centro per la Salute dell’Anziano del nostro ateneo, il centro di cure palliative Insieme nella cura.
Al centro del progetto sono le cure palliative, che non accelerano né ritardano la morte, ma provvedono al sollievo dal dolore e dagli altri sintomi, migliorando la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie. Oltre a esse, l’integrazione tra le cure mediche e infermieristiche e gli interventi psicologici, sociali e spirituali garantisce un’assistenza completa, che si fa carico della persona in modo globale.
Aiutare a vivere fino alla fine
L’hospice è stato concepito con l’obiettivo di ricreare il comfort di vita di un ambiente domestico grazie a stanze ampie e moderne nelle quali è possibile portare il proprio animale da compagnia. Grande considerazione è stata data agli spazi di socializzazione, come la tisaneria aperta 24 ore su 24, e agli spazi comuni per incontri e attività ricreative, come la sala da pranzo, la cappella, l’ampia terrazza e il giardino esterno. Le camere sono attrezzate con aria condizionata, minifrigo, servizi igienici attrezzati, campanello di chiamata, letto elettrico e luce individuale. Insomma, non un “ospedale vestito da casa”, ma una “casa adeguata” ad accompagnare i pazienti e i loro familiari nelle ultime fasi della malattia.
Ad assistere i pazienti un’equipe di medici e infermieri palliativisti, psicologi, operatori socio-sanitari, fisioterapisti, oltre agli assistenti sociali e spirituali. Una rete di volontari è inoltre attiva per assicurare ogni giorno la presenza di persone adeguatamente formate a sostegno della qualità della vita del malato. A domicilio, il paziente viene invece seguito giornalmente grazie a un piano di assistenza individuale.
Il rispetto della persona, delle sue caratteristiche e delle sue volontà, l’informazione al paziente e ai suoi familiari su tutte le fasi della malattia e l’alta considerazione per la relazione di cura sono i cardini attorno ai quali si sviluppa l’azione dell’équipe del centro.
Aiutaci a fare tutto il possibile
Perché un progetto di questo tipo? Perché, come affermava Cicely Saunders, infermiera, medico e filosofa che diede vita alla diffusione del “movimento Hospice”, “tu sei importante perché sei tu, e tu sei importante fino alla fine della tua vita”.
Contribuisci anche tu per “aiutare a vivere fino alla fine“.
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Un Centro di Neuromodulazione per ridare speranza
In Italia sono 2,8 milioni le persone affette da depressione. Di queste, circa il 30% non risponde né al trattamento farmacologico né alla terapia cognitivo comportamentale. Per questo la nostra UOC di Neurologia, diretta dal prof. Vincenzo di Lazzaro, vuole realizzare un Centro di Neuromodulazione per il trattamento del disturbo depressivo maggiore unipolare farmacoresistente.
Specifici protocolli di neuromodulazione non invasiva, cioè di stimolazione cerebrale effettuata attraverso campi magnetici o elettrodi applicati sulla testa del paziente, hanno infatti un potenziale terapeutico in diverse patologie neuropsichiatriche. In particolare, la Stimolazione Magnetica Transcranica ripetitiva (rTMS) si sta affermando come un metodo estremamente efficace nel trattamento del disturbo depressivo maggiore farmacoresistente.
Una cura non ancora accessibile ai pazienti
Una metodica indolore che tuttavia, nonostante l’appello dei neurologi, non è ancora accessibile ai malati di depressione: non essendo inclusa nelle prestazioni a carico del Sistema Sanitario Nazionale, viene effettuata a un costo molto alto per il paziente da personale non sempre adeguatamente formato. I pazienti non responsivi alla terapia farmacologica o vulnerabili a effetti collaterali dei farmaci continuano quindi a ricevere un trattamento non ottimale.
Proprio per garantire in modo sicuro e accessibile questa possibilità terapeutica a tutti i pazienti affetti da depressione farmacoresistente, la nostra UOC di Neurologia ha già presentato alla Camera dei Deputati le proprie istanze.
Un progetto in memoria di chi non c’è più
La sensibilità e il grande impegno della famiglia Danile hanno permesso di coprire i costi della prima fase del progetto (75 mila euro), incentrata sulla valutazione degli effetti della rTMS come unico trattamento nelle donne con depressione post-partum e sull’avvio della procedura di accreditamento nell’ambito del SSN.
Ma servono altri 200 mila euro per aprire un Centro di Neuromodulazione aperto al pubblico all’interno del nostro policlinico universitario, rendendo così disponibile il trattamento a tariffe controllate in regime My Hospital, in attesa di ottenere l’inserimento della prestazione nel regime SSN.
Il contributo dei familiari di Antonio Danile non si ferma, così come l’impegno dei nostri medici e ricercatori. Ma nella lotta contro la depressione è necessario essere in molti. Sei anche tu dei nostri?