Una staffetta di solidarietà per l’area di Mvimwa
Il pianto di un neonato squarcia il buio della notte africana. A portarlo alla luce a Mvimwa, in Tanzania, è il nostro team di Ginecologia. È il giorno del compleanno di Enrico Davoli, chirurgo del nostro policlinico pniversitario: il nome dato al bimbo, Henry, è il suo regalo più bello.
Dal 2017, anno in cui è stato promosso il primo workcamp in Tanzania, attorno al monastero benedettino di Mvimwa è partita una staffetta di solidarietà che finora ha coinvolto decine di studenti, specializzandi, medici e docenti UCBM. Un progetto pluriennale di cooperazione internazionale che coinvolge, oltre al nostro ateneo, anche l’associazione Golfini Rossi Onlus, il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria (CREA), l’Università di Parma e i due atenei africani Strathmore (Kenya) e St. Joseph (Tanzania). Un piano di sviluppo sanitario, alimentare, economico e ambientale per un’area che comprende 10 villaggi e accoglie 20 mila abitanti in un quadrante particolarmente povero e arretrato del Paese africano, a 100 km dal lago Tanganica.
Un’area fragile senza elettricità
Lì, la popolazione vive per il 60% con meno di 2 dollari al giorno e prepara il cibo tra fango e polvere. L’apporto calorico giornaliero arriva a stento a mille calorie per i lavoratori dei villaggi. Solo il 29% dei contadini ha accesso a più di 2 litri di acqua al giorno, mentre l’80% degli studenti ne consuma al massimo mezzo litro. Una difficoltà imposta dalla presenza di due soli pozzi per villaggio, senza pompe di pescaggio, e dall’assenza generalizzata di elettricità.
Formazione per trasformare il futuro della regione
Per questo i nostri volontari sono impegnati in azioni di educazione nutrizionale, screening medici e formazione sanitaria, per combattere la malnutrizione infantile e migliorare le condizioni di igiene e salute e la qualità della vita della popolazione. Finora sono 250 i pazienti di Cardiologia e 300 quelli di Neurologia cui abbiamo garantito assistenza sanitaria di base anche nei villaggi rurali più isolati, 371 invece i bambini e i ragazzi sotto i 18 anni. Ma per sostenere il monastero di Mvimwa nella sua opera di trasformazione socio-culturale del territorio, il focus della missione UCBM è e sarà sempre più sulla formazione del personale sanitario locale, per contribuire alla nascita di una scuola per infermieri e incidere così in modo significativo sul futuro dell’area.
“L’entusiasmo è più contagioso di qualsiasi patologia infettiva”
Un’esperienza travolgente perché, come spiega Benedetta, nostra studentessa di Medicina, “a primo impatto può sembrare inutile la gocciolina da te posta in mezzo al mare, ma in realtà l’entusiasmo è più contagioso di qualsiasi patologia infettiva: chissà che insieme, come tante goccioline, non riusciamo a creare uno tsunami di vita!”.
Aiutaci ad allestire un centro sanitario
Per creare questo tsunami di vita, il nostro obiettivo attuale è attrezzare un centro sanitario a favore soprattutto di donne e bambini. Per questo occorre acquistare la strumentazione necessaria ad allestire una sala parto e una sala operatoria per chirurgia minore, così come l’attrezzatura per un laboratorio di analisi e l’installazione di un servizio di telemedicina in due ospedali. Per concretizzare questo progetto abbiamo bisogno anche del vostro prezioso contributo. Vi ringraziamo fin d’ora per quanto potrete fare!
Dona ora
Il Covid-19 ha portato, insieme alla malattia, anche un lungo strascico di problemi di natura socio-economica: dalla perdita del lavoro alla solitudine, dal collasso della prevenzione sanitaria all’interruzione dei sistemi dell’istruzione. Allo stesso tempo, la pandemia ha dimostrato in modo ancora più evidente quanto la nostra impronta sull’ambiente e sul pianeta possa generare effetti a catena disastrosi per l’uomo e per l’intero ecosistema.
La pandemia ha aggravato le diseguaglianze, ha esacerbato le povertà e ne ha create di nuove. Accanto a una inedita crisi sanitaria, ha generato una diffusa situazione di povertà educativa con la più grande interruzione mondiale dei cicli scolastici nella storia dell’ultimo secolo; ha rimarcato le differenze di genere; ha messo in discussione tanti diritti: dalla cura all’eguaglianza di genere, all’istruzione, al lavoro. Non ultimo, ha evidenziato in modo drammatico l’impatto del nostro stile di vita sull’ambiente. “Questa pandemia lascerà a lungo dietro di sé una scia di nuovi e vecchi bisogni a cui rispondere – spiega Rossano Bartoli, portavoce del Comitato Testamento Solidale e Presidente della Lega del Filo d’Oro – ma per farlo, serve il supporto di ciascuno di noi, serve una sorta di vaccino contro l’indifferenza, per stimolare gli anticorpi della generosità e dell’altruismo“.
Un vaccino contro l’indifferenza
Secondo il Comitato Testamento Solidale, coordinamento di 23 tra le più importanti organizzazioni non profit in Italia di cui anche il nostro Ateneo fa parte, a fronte delle tante crisi che la pandemia ha aperto anche sul fronte sociale, economico, culturale e ambientale, esiste quindi un vaccino di straordinaria efficacia e con nessuna controindicazione: la solidarietà.
Il testamento solidale è un importante componente di questo “vaccino contro l’indifferenza”, perché è una risposta altruistica che guarda al bene di chi resta. Soprattutto, è un gesto alla portata di tutti, perché anche con piccole somme o beni si può contribuire a portare sollievo dove c’è una sofferenza o un bisogno, senza ledere in alcun modo gli interessi di eventuali legittimi eredi.
Scopri come fare
“Certi amori non finiscono” cantava Antonello Venditti, e talvolta è così, letteralmente: tante sono state le coppie che un generoso testamento ha mantenuto unite anche dopo la dipartita di uno dei due partner. Lo ricorda, in occasione della festa di San Valentino, il Comitato Testamento Solidale, di cui – insieme ad altre 21 organizzazioni non profit – fa parte anche il nostro Ateneo. Del resto, come ricorda lo stesso comitato, anche il lascito solidale è un gesto di grande amore che vince la morte e permette, a chi lo fa e a chi ne beneficia, di rimanere indissolubilmente uniti attraverso un nuovo progetto di vita.
Un gesto d’amore che vince la morte
Alcune storie sembrano arrivare direttamente dai libri di favole. Come quella del Principe Enrico di Danimarca, membro della famiglia reale francese che è stato un accorto diplomatico anche dopo il matrimonio con la regina Margherita di Danimarca: a lei ha lasciato in eredità i 3,5 milioni di euro che costituivano il suo patrimonio personale. Volando oltreoceano, il senatore John McCain – meglio conosciuto come il candidato repubblicano sconfitto alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti del 2008 da Barack Obama – ha lasciato i 175 milioni di euro del suo patrimonio alla sua vedova, Cindy McCain.
Anche il jet set riporta splendidi esempi di amore coniugale che resiste alla morte. L’attore Philip Seymour Hoffman, interprete indimenticato di Boogie Nights e Truman Capote, nel 2018 ha lasciato l’intera eredità di 35 milioni di dollari alla compagna Mimi O’Donnell, escludendo i figli “perché non crescano viziati” (sic). Lo scrittore Tom Wolfe, oltre ad aver lasciato all’umanità un grande patrimonio letterario – pensiamo a best seller come Il falò delle vanità o Un uomo vero – ha destinato invece all’amatissima consorte, Sheila Berger Wolfe, ben 17,5 milioni di euro. E pensiamo alla vedova di Bernardo Bertolucci, Clare Peploe, che alla morte del grande regista è diventata beneficiaria di un testamento da 35 milioni di euro.
Ma a volte i testamenti hanno disvelato veri e propri dispetti post mortem. Come quelli del signor Samuel Bratt, uomo inglese morto nel 1960, che nel suo testamento aveva destinato il suo lascito di 330mila sterline alla moglie con una clausola quantomeno singolare: la donna avrebbe dovuto fumare cinque sigari al giorno. Una vera e propria legge del contrappasso imposta alla consorte, che in vita gli aveva proibito di fumare i suoi sigari in libertà. Ma forse la ripicca più perfida è stata quella riservata da William Shakespeare alla moglie, la quale, dopo un matrimonio durato ben 33 anni, ricevette in eredità soltanto il suo “secondo miglior letto”, destinando alla figlia maggiore il suo ingente patrimonio.
Un gesto alla portata di tutti
Ma per compiere un vero atto d’amore non serve avere patrimoni di grande portata: tutti possono rimanere legati per sempre al destino e al futuro di un’altra persona, così come all’attività di un’organizzazione, grazie all’ultimo gesto di altruismo: il lascito solidale. Come testimoniano le associazioni che fanno parte del Comitato Testamento Solidale, sono soprattutto le migliaia di persone “comuni” che, optando per questa scelta, hanno fatto e continuano a fare la differenza. “Essere generosi non è una questione di tasche, ma di cuore, dice un vecchio adagio. Saggezza popolare che si addice perfettamente al lascito solidale. – spiega Rossano Bartoli, portavoce del Comitato Testamento Solidale – In base a un’indagine Gfk Eurisko, sappiamo che circa la metà dei lasciti è sotto i 20 mila euro, un quarto ammonta a una cifra tra 20 mila e 50 mila euro e il restante quarto supera i 50 mila euro. Il bello, in una fase storica così complessa e difficile, è che la pandemia da Covid-19 ha in qualche modo accentuato questa predisposizione”.
Secondo una ricerca diffusa nel settembre 2020, l’11% degli over 50 dichiara infatti di aver pensato a un lascito solidale in seguito all’emergenza Covid-19, mentre 2 su 10 hanno fatto o sono propensi a fare un lascito solidale in favore di un’organizzazione non profit, per un totale di circa 5 milioni e mezzo di persone: quasi il triplo rispetto al 2013.
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I tre insegnamenti della pandemia
È, questa del 2020, una Festa dei Defunti che difficilmente dimenticheremo. Un momento non più solo familiare ma anche collettivo, per stringersi, come comunità, attorno alle famiglie di quanti, nel corso dell’anno, hanno perso i propri cari a causa del Covid-19.
Mai come quest’anno, trovare il modo di parlare della caducità della vita, ai bambini e tra adulti, diventa più importante che mai, per aiutare gli altri e noi stessi a comprendere, accettare, metabolizzare i profondi cambiamenti che il Coronavirus ha portato prepotentemente nelle nostre vite. E non solo in termini di abitudini quotidiane, ma anche di percezione della vita e del futuro.
L’esperienza della pandemia ci lascia tre insegnamenti, che riportano a tre dimensioni: passato, presente e futuro. Lo spiega Mario Pollo, docente di Pedagogia generale e sociale e di Psicologia alla LUMSA di Roma, interpellato dal Comitato Testamento Solidale: “Il primo insegnamento, guardando indietro a quello che abbiamo vissuto, è che abbiamo compreso che nessuna persona si salva da sola, cioè nessuno è autosufficiente. Il secondo è che abbiamo riscoperto, in un’epoca che tende a nasconderla, la nostra fragilità, e anche la nostra mortalità. Questa riscoperta è importantissima, perché è l’unica che fa sviluppare nelle persone una forza interiore che consente loro di affrontare interiormente il presente e le avversità della vita. Il terzo insegnamento invece è l’importanza del futuro. All’interno del tempo in cui siamo stati confinati, in cui il futuro sembrava essere scomparso, assorbito dal presente, abbiamo scoperto come invece questo futuro fosse fondamentale per la nostra vita”.
“Siamo ciò che siamo grazie a chi ci ha preceduto”
Un team dell’Università della California-San Diego ha intervistato un campione di 1042 persone tra i 21 e i 100 anni ed è giunto a una conclusione: è intorno ai 60 anni che troviamo risposta alle domande sul senso della nostra vita. E, in tempi di pandemia, sono sempre di più coloro che questo posto, questo senso lo cercano nella generosità, anche attraverso un lascito solidale.
Secondo la ricerca Gli Italiani e la solidarietà dopo il Coronavirus, commissionata da Comitato Testamento Solidale e realizzata da Walden Lab, dopo il lockdown e in pieno allarme pandemia il 20% degli over 50 dichiara di aver fatto o di essere orientato a fare un lascito solidale in favore di un’organizzazione non profit, l’8% in più rispetto al 2018.
Spiega ancora Pollo: “Nel contesto attuale, il lascito solidale ha un grande valore: ci aiuta a recuperare l’unico tempo della nostra vita che è significativo, il tempo che ci differenzia da tutte le altre specie viventi e che viene chiamato ‘tempo noetico’, cioè la capacità di vivere il presente in relazione al passato e al futuro anche non immediato, non prossimo. Il testamento solidale ci ricorda che siamo ciò che siamo grazie a coloro che ci hanno preceduti. Ciò che noi facciamo nel presente influenzerà la vita delle generazioni che ci seguiranno. Ciò che noi lasciamo in eredità alle nuove generazioni arricchirà la loro vita e anche la nostra, perché noi siamo solidali con tutta l’umanità: quella che ci ha preceduta e quella che ci seguirà. Non siamo delle monadi isolate. Questo elemento ci dice che noi possiamo dare un senso profondo alla nostra vita e anche al nostro morire se abbiamo la capacità di lasciare un’eredità al futuro”.
Un lascito è dunque una delle risposte possibili quando ci si domanda che ricordo lasciare di sé ai posteri, che impronta imprimere sul mondo che verrà.
Anche con una piccola somma si può fare molto
Secondo l’indagine di Walden Lab per Comitato Testamento Solidale, il 72% della popolazione italiana adulta (25-75 anni) sa cosa sia un lascito solidale. Tra gli over 50, il segmento di popolazione più orientato all’idea di fare testamento, la crescita è molto netta: nel 2020 ha raggiunto l’80% (nel 2016 la conoscenza del lascito era pari al 55% e nel 2018 al 58%).
Sostiene Rossano Bartoli, portavoce del Comitato Testamento Solidale e presidente della Lega del Filo d’Oro: “Dal 2013, con il Comitato Testamento Solidale siamo impegnati nel fare cultura su questo importante strumento di donazione. L’emergenza Coronavirus ha reso gli ambiti dei nostri interventi ancora più critici e il sostegno che le organizzazioni non profit possono dare a tante cause sociali è oggi ancora più decisivo. Predisporre un testamento solidale è una scelta di cui tante persone parlano apertamente con i propri famigliari. Non è necessario disporre di grandi patrimoni: si può valutare di destinare a un’organizzazione non profit anche una piccola somma per aiutare gli altri”.
Per fare un lascito, quindi, non servono grandi patrimoni: ogni gesto, anche il più piccolo, genera un impatto che torna moltiplicato in termini di benefici per la società. Ciò non toglie comunque che la scelta del testamento solidale sia stata fatta anche da tanti personaggi celebri, in Italia e nel mondo: da Bill Gates a Giorgio Armani, da Mark Zuckerberg a George Michael, da Elton John a Robin Williams. Ma sono soprattutto le persone “comuni” che, optando per questa scelta in migliaia, hanno fatto e continuano a fare la differenza.
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Padel, fitness, superjump, step e zumba. E ancora tennis, group cycling, water polo e yoga. Anche fare sport può essere un gesto altruistico e di responsabilità nei confronti del territorio, soprattutto se a pensarlo sono i club sportivi stessi. Per questo l’Enjoy Sporting Club ha promosso Enjoy for humanity, iniziativa solidale a favore del Pronto Soccorso del nostro Policlinico Universitario.
Attraverso l’organizzazione di cinque weekend di sport e un’asta benefica, l’evento ha permesso di raccogliere 8.250 euro a favore di questa nuova struttura sanitaria fondamentale per il territorio. Quasi 7mila gli euro raccolti grazie alle attività sportive, più di 1.250 euro invece la cifra raggiunta con un’asta benefica che ha destinato a generosi partecipanti magliette e oggetti sportivi autografati da grandi campioni.
Domenica 11 ottobre, a conclusione dell’iniziativa, i fondi raccolti sono stati consegnati dall’Enjoy Sporting Club ad Andrea Rossi, direttore generale del nostro Ateneo. Saranno quindi presto investiti a favore della salute di tutti gli abitanti del territorio.
Insomma, a volte, fare sport fa doppiamente bene: a sé e agli altri!
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L’emergenza Coronavirus ha cambiato molte cose, ma non sempre in peggio. Ad esempio, ha favorito la propensione degli italiani verso il testamento e il lascito solidale. Lo rivela la ricerca su “Gli italiani e la solidarietà dopo il Coronavirus”, diffusa in occasione della Giornata Internazionale del Lascito Solidale (13 settembre) e condotta nell’ultima settimana di giugno 2020 da Walden Lab per Comitato Testamento Solidale – di cui fanno parte 22 organizzazioni non profit tra cui anche il nostro Ateneo – con il patrocinio del Consiglio Nazionale del Notariato.
L’indagine, che ha coinvolto un campione di mille casi rappresentativo dei circa 40 milioni di italiani di età compresa tra i 25 e i 75 anni, mostra che l’11% degli over 50 ha pensato a un lascito solidale in seguito all’emergenza Covid-19, mentre 2 su 10 hanno fatto o sono propensi a fare un lascito solidale in favore di un’organizzazione non profit, per un totale di quasi 5 milioni e mezzo di persone.
Lascito solidale, questo ex sconosciuto
L’incremento rispetto al passato è importante. Nel 2018, la percentuale di chi prendeva in considerazione l’idea di un lascito solidale era inferiore di ben 8 punti (al 12%), mentre cresce in modo significativo anche la percentuale di chi dichiara di avere fatto testamento o di essere orientato a farlo: in 4 anni (dal 2016) si è passati dal 13% al 21%. Insomma, la pandemia ha cambiato la nostra visione della vita, ma non in peggio, visto che è aumentata l’attitudine a pensare al futuro degli “altri”.
Ormai, il 72% della popolazione italiana adulta (25-75 anni) sa cosa sia un lascito solidale. Tra gli over 50, il segmento di popolazione più orientato all’idea di fare testamento, la crescita è molto netta: nel 2020 ha raggiunto l’80% (nel 2016 era pari al 55%, nel 2018 al 58%).
1 italiano su 2 è più altruista
In generale, la paura e lo choc per quanto vissuto non ci hanno resi più egoisti: 1 italiano su 2 si sente più sensibile alle sofferenze e alle difficoltà degli altri; molti sono più preoccupati per il bene comune (49%), più propensi alla solidarietà verso il prossimo (45%), disponibili a sostenere una buona causa facendo volontariato (31%) o donazioni (25%).
Nel corso del 2019, il 21% ha donato a una onp per una causa solidale, mentre nel primo semestre del 2020 la percentuale raggiunge il 28%, con un incremento di ben 7 punti. Il lascito solidale dunque è un aspetto di una più generale tendenza: l’emergenza Covid-19 ha spinto in alto la generosità degli italiani e il loro senso di solidarietà verso il prossimo.
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Un nuovo Pronto Soccorso per Roma. Un sogno che, grazie al sostegno di tanti, dal 1° settembre è diventato realtà! Ha aperto, finalmente, il Pronto Soccorso del nostro Policlinico Universitario. Una struttura di 2100 metri quadrati, accogliente, sicura e dotata delle più recenti tecnologie, accreditata Joint Commission International e realizzata seguendo i più aggiornati modelli organizzativi, tecnologici e di triage. Un servizio pensato per un bacino potenziale di circa 300mila residenti, per un afflusso stimato in 45mila accessi annui.
Anche in tempo di pandemia. Per i pazienti che dovessero risultare positivi al tampone (da trasferire pertanto in un ospedale Covid), nel mese di luglio è stato infatti costruito un Percorso Protetto Covid totalmente separato, che si estende su ulteriori 300 metri quadrati.
Pronto ad accogliere
All’inaugurazione hanno preso parte, tra gli altri, il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, il Vice Ministro alla Salute Pierpaolo Sileri, il sindaco di Roma Virginia Raggi e l’assessore alla Sanità e all’Integrazione socio-sanitaria della Regione Lazio Alessio D’Amato. Mons. Paolo Ricciardi, vescovo ausiliare con delega alla pastorale sanitaria, ha benedetto la struttura.
Come ha detto Felice Barela, presidente del nostro Ateneo, “siamo felici di poter dare questo ulteriore contributo al nostro Servizio Sanitario, fieri di essere uno dei nodi di questa ‘rete di protezione’ dei nostri concittadini”. Per Paolo Sormani, direttore generale del Policlinico Universitario, “il nostro vuole essere un Pronto Soccorso che accoglie, ascolta, comunica, si fa carico, assiste e cura”.
Il Pronto Soccorso è pensato per assicurare cure tempestive per tutte le patologie – in particolare, quelle cerebro-vascolari acute (ictus), vascolari acute (aneurismi) e cardiopatie acute (infarti) – oltre che per tutti i casi di traumatologia e di patologie chirurgiche acute.
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Ridare il tatto a chi è stato amputato
La perdita di una mano in seguito a un evento traumatico è un danno devastante subìto ogni anno da circa 4 mila persone in Italia. Un drastico cambiamento che impatta non solo sull’ambito lavorativo, ma anche sulla sfera personale, limitando fortemente le capacità di compiere attività quotidiane e di interagire con le persone.
Per questo il nostro ateneo è da sempre in prima linea nella neuroprotesica, con un’attenzione particolare al tema del recupero delle capacità sensoriali, grazie all’utilizzo di interfacce neurali.
LifeHand, la prima protesi controllata dal pensiero
Nel 2008, per la prima volta un paziente è riuscito a muovere un arto bionico attraverso la propria mente. LifeHand, questo il nome della prima protesi capace di rispondere agli impulsi cerebrali, è stata il risultato di un progetto finanziato dall’Unione Europea, con il coordinamento dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Proprio nel nostro policlinico universitario sono stati impiantati nel braccio di Pierpaolo Petruzziello i quattro elettrodi che gli hanno permesso di controllare la mano robotica durante il mese di sperimentazioni.
LifeHand 2, la prima mano bionica che ‘sente’ gli oggetti
LifeHand 2, la prima mano bionica indossabile che restituisce all’amputato sensazioni tattili, è stata sperimentata nel 2014 dai nostri medici e bioingegneri insieme all’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’IRCSS San Raffaele di Roma, la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, l’Ecole Polytechnique Federale di Losanna e l’Istituto IMTEK dell’Università di Friburgo.
PPR2, con Inail per restituire le sensazioni propriocettive
Risale sempre al 2014 la partnership tra il nostro ateneo e Inail, l’Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro. Obiettivo, lo sviluppo di una nuova mano bionica impiantabile basata sull’utilizzo di interfacce neurali, per restituire ai pazienti amputati anche sensazioni propriocettive, ovvero la capacità di riconoscere la posizione del corpo nello spazio.
Il sistema protesico è stato quindi ottimizzato dal 2017 al 2019 attraverso l’introduzione di componenti fortemente miniaturizzate, stabili e biocompatibili, per migliorare concretamente la quotidianità dei pazienti.
Sensibilia, il futuro è realtà
L’ultimo passo in avanti si chiama Sensibilia. Una mano bionica che, impiantata in modo sperimentale nel 2019 su Clara, amputata 30 anni prima in seguito a un incidente domestico, ha dimostrato che è possibile compiere con destrezza movimenti anche complessi.
Al termine del progetto, realizzato dal nostro ateneo insieme al Centro Protesi Inail, Clara ha ricevuto una mano bionica simile a quelle della sperimentazione.
Reshape, per mani bioniche percepite come proprie
Ma se il presente si chiama Sensibilia, il futuro è Reshape. Il progetto del dott. Di Pino, laureato in Medicina e Chirurgia, dottorato in Ingegneria Biomedica e specializzato in Neurologia nel nostro ateneo, coniuga Neuroscienze, Ingegneria Biomedica e Clinica Neurologica per permettere agli amputati di non sentirsi più tali, grazie a una mano bionica percepita come propria. La sua idea – passare dal concetto di protesi (dal greco, artefatto, qualcosa di esterno) a quello di endotesi (qualcosa che faccia parte del corpo) – ha convinto nel 2015 a Bruxelles oltre trenta top scientists, tra i quali alcuni Nobel, e ha vinto quindi il prestigioso bando europeo ERC-Starting Grant.
“Il problema – spiega il ricercatore – è che le protesi di oggi sono il frutto dell’evoluzione della robotica industriale e rimangono un corpo estraneo. Il mio desiderio è allora quello di concepire una protesi con cui il soggetto non debba suonarci il piano, ma sentirsi completo durante una serata di gala. E questo è possibile solo partendo dalle sensazioni e dai processi cerebrali umani”.
WiFi-MyoHand, RGM5 e 3DAID
Nella primavera 2021, in collaborazione con il Centro Protesi Inail di Budrio e con la partecipazione della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, il nostro ateneo ha avviato tre nuovi progetti nel campo delle protesi bioniche di arto superiore. WiFi-MyoHand svilupperà una nuova protesi bionica con ritorno sensoriale grazie a un sistema di stimolazione neurale completamente impiantabile e wireless. RGM5 individuerà nuove procedure di chirurgia bionica per l’adattamento del corpo dell’amputato alle protesi più innovative e restituirà la propriocezione. 3DAID realizzerà protesi e ortesi di mano innovative e low-cost grazie all’utilizzo di tecniche avanzate di prototipazione rapida con stampa 3D.
In occasione della Giornata internazionale del lascito solidale del 13 settembre, il Comitato Testamento Solidale – di cui anche UCBM fa parte – promuove la prima edizione dell’Open Day Solidale, un’iniziativa che coinvolge circa 60 Consigli Notarili Distrettuali che apriranno le proprie porte in tutta Italia.
Dalle ore 16 alle 19, presso le sedi dei Consigli Notarili, i notai offriranno informazioni e consulenza gratuita sui lasciti solidali a tutte le persone interessate a saperne di più. Per esempio, sarà possibile confrontarsi su come si fa un testamento solidale, come tutelare la famiglia e far in modo che le proprie volontà vengano eseguite dopo la morte, cosa si può donare in beneficenza.
Se è vero infatti che in Italia il 5% degli over 50 (circa 25,5 milioni di persone) ha già fatto o pensa di fare un lascito solidale (percentuale in lenta ma costante ascesa, tanto che nel 2016 è cresciuta del 15%), è anche vero che il nostro Paese è ancora fanalino di coda in Europa. L’iniziativa del 13 settembre desidera quindi informare e sensibilizzare la popolazione sull’importanza di questo gesto.
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Una scoperta storica sull’origine del morbo d’Alzheimer
Una scoperta che ha fatto subito il giro del mondo, aprendo nuove frontiere per la cura del morbo d’Alzheimer. Secondo lo studio coordinato dal prof. Marcello D’Amelio e dalla sua Unità di Ricerca di Neuroscienze molecolari, l’origine dell’Alzheimer non risiede nella parte del cervello legata alla memoria, ma in quella deputata all’umore. Una tesi già confermata da una sperimentazione su pazienti svolta dall’Università di Sheffield, in Inghilterra, e che ora, pubblicato su Nature Communications, è uno degli studi più citati nella comunità scientifica internazionale.
Alla ricerca di una cura per l’Alzheimer
Raramente i risultati della ricerca di laboratorio raggiungono rapidamente l’applicazione clinica sul paziente. Non è questo il caso della scoperta del prof. D’Amelio e della sua équipe di ricerca, che potrebbe cambiare presto la vita di chi soffre di questa patologia neurodegenerativa – la più comune forma di demenza – per la quale per ora non esiste cura efficace.
Aprile 2017 – Il team UCBM scopre l’origine dell’Alzheimer
Il team del prof. D’Amelio scopre che l’Area Tegmentale Ventrale (VTA) – un’area del cervello che regola diverse funzioni quali ad esempio quella della gratificazione – va incontro a degenerazione molto prima che si formino le caratteristiche placche di beta-amiloide nelle aree del cervello storicamente associate alla malattia.
Marzo 2018 – Uno studio inglese su pazienti conferma la scoperta
Uno studio dell’Università di Sheffield (Inghilterra) dimostra con tecniche di risonanza magnetica nucleare che la VTA è effettivamente coinvolta nelle fasi precoci di malattia di Alzheimer. È la prima conferma sull’uomo. Il prof. D’Amelio la commenta in un editoriale sul Journal of Alzheimer’s Disease, rivista su cui è pubblicato il lavoro prodotto dal gruppo inglese.
Settembre 2018 – Uno studio italiano aggiunge nuovi dettagli
Uno studio tutto italiano, sotto la spinta del prof. D’Amelio, aggiunge ulteriori dettagli sul coinvolgimento della VTA in pazienti a diverso grado di sviluppo di malattia e che presentano alterazioni delle funzioni non-cognitive (ad esempio apatia, disturbi del sonno e dell’appetito).
Maggio 2018 – Iniziano le ricerche per la sperimentazione di nuovi farmaci
L’americana Alzheimer’s Association assegna al prof. D’Amelio un finanziamento triennale per ulteriori ricerche finalizzate alla sperimentazione preclinica di farmaci capaci di ridurre o addirittura bloccare la degenerazione della VTA. Le ricerche sono attualmente in corso.
Febbraio 2019 – Una ricerca valuta l’efficacia della musica contro l’Alzheimer
Farmindustria decide di sostenere la ricerca del prof. D’Amelio sponsorizzando uno studio non farmacologico. Poiché è noto che l’ascolto di alcuni tipi di musica funge da potente stimolatore della VTA, lo studio punta a stimolarla proprio in questo modo. La ricerca, attualmente in corso, valuterà l’efficacia della musica nel rallentare la progressione del morbo d’Alzheimer.
Giugno 2021 – Trovata la chiave per la diagnosi precoce
Un nuovo studio promosso dall’IRCCS Santa Lucia insieme ai nostri ricercatori e all’Università di Torino ha individuato nelle lesioni dell’area tegmentale ventrale (VTA) la capacità di predire lo sviluppo dell’Alzheimer, scoprendo così una finestra di intervento di due anni prima che la malattia si manifesti. La scoperta ha aperto nuovi importanti scenari per la diagnosi precoce.
L’impegno dei ricercatori continua
L’impegno quotidiano del prof. D’Amelio e del suo team continua quindi in laboratorio, per offrire presto nuove possibilità di cura a quanti soffrono della malattia di Alzheimer: circa il 5% della popolazione mondiale sopra i 60 anni, 1 milione di persone solo in Italia. Un numero che – dato il continuo invecchiamento della popolazione – potrebbe triplicare nei prossimi 40 anni, con costi sociali ed economici elevatissimi. Al lavoro dei nostri ricercatori è rivolta la speranza di tutti i pazienti e soprattutto dei loro cari.
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