Sono stati regalati al personale del nostro Covid Center, impegnato anche a Pasqua a curare i pazienti contagiati, i cioccolatini solidali che erano pronti per essere venduti nelle piazze a sostegno del nostro Pronto Soccorso, al momento prontamente riconvertito proprio in struttura dedicata a fronteggiare l’emergenza sanitaria in corso. A ideare il gesto è stata una volontaria del nostro Policlinico Universitario, che ha voluto dedicare un dolce pensiero ai sanitari in prima linea per contrastare il virus.

A ciascuno di loro, nel giorno di Pasqua, la volontaria dell’Associazione Amici dell’Università Campus Bio-Medico di Roma Onlus ha voluto infatti far consegnare i dolcetti di cioccolato bianco inizialmente pensati come prodotti solidali a sostegno del nostro DEA di I livello.

La volontaria ha così potuto compiere un doppio gesto di altruismo. Da un lato, ha sollevato il morale del personale del nostro Covid Center con l’omaggio dei cioccolatini. Dall’altro, attraverso l’importo donato per il loro acquisto, ha contribuito al progetto del Pronto Soccorso, che aprirà quando sarà terminata l’emergenza in corso.

Insomma, un modo diverso ma altrettanto efficace per “fare volontariato” anche al tempo del distanziamento sociale.

 

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I viaggi sono sospesi, ma la solidarietà non si ferma. Nemmeno a Pasqua. Per questo la MSC Foundation del Gruppo MSC, secondo operatore al mondo nel settore dello shipping, fondato 50 anni fa da Gianluigi Aponte, ha voluto dimostrare la propria vicinanza al personale del nostro Covid Center, impegnato quotidianamente sul fronte della lotta al virus.

La famiglia Aponte, che vanta oltre 300 anni di tradizione marinara, ha deciso di donare 100 colombe pasquali a tutto lo staff in prima linea nella cura dei pazienti contagiati. Un gesto semplice per ringraziare chi avrebbe trascorso in questo modo anche il giorno di Pasqua.

È stato il direttore del Covid Center, prof. Felice Agrò, a distribuire i dolci a quanti a vario titolo sono impegnati tra le sue corsie, giorni festivi compresi. Professionisti che puntualmente avevano offerto il proprio supporto nell’emergenza anche per le navi MSC attraccate nel porto di Civitavecchia.

 

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“Credo mi riesca difficile riuscire ad esprimervi pienamente il mio ringraziamento per il vostro altruistico e toccante gesto. Vi ringrazio con tutto il cuore per il vostro generoso contributo, che come sapete sarà di grande aiuto per i pazienti che sono e saranno ricoverati a motivo di questa terribile pandemia”.

Comincia con queste parole la lettera che il direttore del nostro Covid Center, Felice Eugenio Agrò, ha scritto ai 300 detenuti del carcere di Lanciano, in Abruzzo. Alla sua direttrice, Lucia Avantaggiato, essi avevano chiesto alcuni giorni fa di poter mostrare la propria vicinanza al personale sanitario impegnato contro il virus. Dopo poco, è arrivata la loro donazione al nostro Covid Center.

Un gesto di profonda umanità – come sottolineato dal Rettore del nostro Ateneo, Raffaele Calabrò – che li fa esempio per tutti in questo periodo di incertezze nel quale non è retorico richiamarci con forza agli autentici valori di unità e umanità”.

“Sentire che ci siete vicino – continua Agrò – è per noi una grandissima dimostrazione di stima e di solidarietà e sono queste cose, nel difficile momento storico che stiamo vivendo, a farci sentire davvero il senso di unità, di compattezza, di umanità. Tendere la mano verso gli altri. Ed è questa l’umanità e la società a cui ambire; persone che si tengono per mano. E noi queste vostre mani le stringiamo oggi ancora più forte”.

In parte condannati all’ergastolo, i detenuti già in passato avevano collaborato con il nostro Ateneo attraverso progetti di reinserimento. A loro va la nostra riconoscenza e gratitudine per un gesto così generoso in un momento tanto impegnativo e difficile.

 

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La Ricerca non si ferma

La battaglia contro il coronavirus non è finita. Mentre il nostro centro vaccinale è impegnato a mettere in sicurezza la popolazione, i nostri ricercatori stanno studiando il ruolo della genetica nello sviluppo del virus. Alcune persone infatti diffondono più marcatamente il contagio e si ammalano più facilmente e con una carica virale maggiore. Perché? La risposta è nelle difese immunitarie.

I nostri ricercatori hanno finora raccolto 22 famiglie e ne hanno analizzate 20 con un pannello di 43 geni associati alla risposta immunitaria all’infezione virale. Tra i circa 120 individui che sono stati analizzati in totale, sono state individuate circa 110 varianti genomiche. Il passo successivo consiste ora nell’analisi bioinformatica, nella correlazione statistica tra le varianti e il grado di gravità dei sintomi manifestati in seguito all’infezione. Si studieranno in maggiore dettaglio un piccolo numero di famiglie, risultate più informative all’analisi preliminare.

Una ricerca innovativa

Il progetto di ricerca è trasversale e innovativo, perché focalizzato in particolare sulla variabilità genetica e clinica all’interno delle famiglie. Questa potrà fornire informazioni preziose per la lotta al Covid-19, dati fondamentali anche dopo l’arrivo del vaccino, per capire chi è geneticamente più resistente e chi non vi risponderà affatto.

La ricerca ha un costo complessivo di 200 mila euro. La tua donazione è fondamentale per aiutarci in questa battaglia. Sei pronto a sostenerci?

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Studiare i fattori genetici del virus

Spiegano i nostri ricercatori che, come per tutte le malattie infettive, anche per il Coronavirus l’effetto clinico e la rapidità di contagio dipendono in larga misura dal modo in cui ciascun individuo è in grado di difendersi rispetto alle strategie di attacco del virus. Se da un lato il virus SARS-COV-2 sembra attaccare tutti con le stesse armi, non mutando in maniera determinante il proprio programma genetico, dall’altro le difese immunitarie possono fare la differenza.

Le persone non geneticamente in grado di chiudere le porte al virus – i cosiddetti superspreaders – diffondono più marcatamente il contagio e si ammalano più facilmente e con una carica virale maggiore. Sono loro a sviluppare i sintomi più gravi e, in molti casi, a non sopravvivere. Al contrario, chi è geneticamente più dotato di armi contro il virus non contrae l’infezione o rimane asintomatico.

Identificare quali fattori genetici svolgono un ruolo chiave nel contagio e nella gravità dei sintomi da SARS-COV-2 è un passo importante per scoprire nuove cure.

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Noi siamo pronti a fermarlo. Tu?

Questo il piano d’azione dei nostri docenti e ricercatori Fiorella Gurrieri, Massimo Ciccozzi, Marcello D’Amelio, Giorgio Minotti, Emanuela Salvatorelli e Silvia Angeletti:

  • verificare l’impatto del profilo genetico individuale sulle caratteristiche cliniche e sulla progressione della malattia da Covid-19
  • identificare varianti genetiche di suscettibilità e di protezione nei confronti della malattia, ad esempio legate al genere e alla regionalità
  • inserire le varianti genetiche in un modello cellulare ingegnerizzato per ricapitolare in vitro l’infezione da Covid-19
  • comprendere la patogenesi della malattia e testare rapidamente nuovi farmaci.

I nostri ricercatori sono pronti a raggiungere questo traguardo importante per salvare vite umane.

Tu sei pronto a sostenerli?

 

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IBAN IT79G0569603211000007355X84
Causale: Ricerca Coronavirus

Praticare la terapia della dignità

Garantire la migliore qualità delle cure per i pazienti in fase avanzata di malattia offrendo al territorio un servizio ispirato ad una visione olistica dell’assistenza alla persona. Con un totale di 60 posti autorizzati dalla Asl Roma2 – 12 residenziali e 48 in assistenza domiciliare – è nato il 16 dicembre 2020 all’interno del CESA, il Centro per la Salute dell’Anziano del nostro ateneo, il centro di cure palliative Insieme nella cura.

Al centro del progetto sono le cure palliative, che non accelerano né ritardano la morte, ma provvedono al sollievo dal dolore e dagli altri sintomi, migliorando la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie. Oltre a esse, l’integrazione tra le cure mediche e infermieristiche e gli interventi psicologici, sociali e spirituali garantisce un’assistenza completa, che si fa carico della persona in modo globale.

 

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Aiutare a vivere fino alla fine

L’hospice è stato concepito con l’obiettivo di ricreare il comfort di vita di un ambiente domestico grazie a stanze ampie e moderne nelle quali è possibile portare il proprio animale da compagnia. Grande considerazione è stata data agli spazi di socializzazione, come la tisaneria aperta 24 ore su 24, e agli spazi comuni per incontri e attività ricreative, come la sala da pranzo, la cappella, l’ampia terrazza e il giardino esterno. Le camere sono attrezzate con aria condizionata, minifrigo, servizi igienici attrezzati, campanello di chiamata, letto elettrico e luce individuale. Insomma, non un “ospedale vestito da casa”, ma una “casa adeguata” ad accompagnare i pazienti e i loro familiari nelle ultime fasi della malattia.

Ad assistere i pazienti un’equipe di medici e infermieri palliativisti, psicologi, operatori socio-sanitari, fisioterapisti, oltre agli assistenti sociali e spirituali. Una rete di volontari è inoltre attiva per assicurare ogni giorno la presenza di persone adeguatamente formate a sostegno della qualità della vita del malato. A domicilio, il paziente viene invece seguito giornalmente grazie a un piano di assistenza individuale.

Il rispetto della persona, delle sue caratteristiche e delle sue volontà, l’informazione al paziente e ai suoi familiari su tutte le fasi della malattia e l’alta considerazione per la relazione di cura sono i cardini attorno ai quali si sviluppa l’azione dell’équipe del centro.

Aiutaci a fare tutto il possibile

Perché un progetto di questo tipo? Perché, come affermava Cicely Saunders, infermiera, medico e filosofa che diede vita alla diffusione del “movimento Hospice”, “tu sei importante perché sei tu, e tu sei importante fino alla fine della tua vita”.

Contribuisci anche tu peraiutare a vivere fino alla fine.

 

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Un Centro di Neuromodulazione per ridare speranza

In Italia sono 2,8 milioni le persone affette da depressione. Di queste, circa il 30% non risponde né al trattamento farmacologico né alla terapia cognitivo comportamentale. Per questo la nostra UOC di Neurologia, diretta dal prof. Vincenzo di Lazzaro, vuole realizzare un Centro di Neuromodulazione per il trattamento del disturbo depressivo maggiore unipolare farmacoresistente.

Specifici protocolli di neuromodulazione non invasiva, cioè di stimolazione cerebrale effettuata attraverso campi magnetici o elettrodi applicati sulla testa del paziente, hanno infatti un potenziale terapeutico in diverse patologie neuropsichiatriche. In particolare, la Stimolazione Magnetica Transcranica ripetitiva (rTMS) si sta affermando come un metodo estremamente efficace nel trattamento del disturbo depressivo maggiore farmacoresistente.

Una cura non ancora accessibile ai pazienti

Una metodica indolore che tuttavia, nonostante l’appello dei neurologi, non è ancora accessibile ai malati di depressione: non essendo inclusa nelle prestazioni a carico del Sistema Sanitario Nazionale, viene effettuata a un costo molto alto per il paziente da personale non sempre adeguatamente formato. I pazienti non responsivi alla terapia farmacologica o vulnerabili a effetti collaterali dei farmaci continuano quindi a ricevere un trattamento non ottimale.

Proprio per garantire in modo sicuro e accessibile questa possibilità terapeutica a tutti i pazienti affetti da depressione farmacoresistente, la nostra UOC di Neurologia ha già presentato alla Camera dei Deputati le proprie istanze.

Un progetto in memoria di chi non c’è più

La sensibilità e il grande impegno della famiglia Danile hanno permesso di coprire i costi della prima fase del progetto (75 mila euro), incentrata sulla valutazione degli effetti della rTMS come unico trattamento nelle donne con depressione post-partum e sull’avvio della procedura di accreditamento nell’ambito del SSN.

Ma servono altri 200 mila euro per aprire un Centro di Neuromodulazione aperto al pubblico all’interno del nostro policlinico universitario, rendendo così disponibile il trattamento a tariffe controllate in regime My Hospital, in attesa di ottenere l’inserimento della prestazione nel regime SSN.

Il contributo dei familiari di Antonio Danile non si ferma, così come l’impegno dei nostri medici e ricercatori. Ma nella lotta contro la depressione è necessario essere in molti. Sei anche tu dei nostri?

Un progetto indispensabile per 300 mila persone

Una popolazione di circa 180 mila persone e un solo Pronto Soccorso, all’Ospedale Sant’Eugenio. Per questo il nuovo DEA (Dipartimento di Emergenza e Accettazione) di I livello della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico è un servizio fondamentale nel territorio del IX Municipio, trovandosi al centro di un bacino potenziale di circa 300 mila residenti.

Un Pronto Soccorso innovativo che mette al centro la persona

Con un investimento di circa 10 milioni di euro, il nostro Pronto Soccorso occupa uno spazio di 2100 metri quadrati. Progettato per mettere al centro ciascuna persona che vi accede, ha un design moderno e funzionale e garantisce massimo comfort durante l’attesa e grande attenzione alla privacy.

 

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Con una moderna organizzazione degli spazi, per ridurre al massimo gli spostamenti dei pazienti, è collocato in prossimità delle sale operatorie, di Radiologia interventistica e di Emodinamica, e – primo Pronto Soccorso per adulti a Roma – è dotato di un servizio di Diagnostica per Immagini dedicato, con una innovativa TAC 300 strati ad altissime prestazioni. Attenzione anche all’accessibilità, grazie a un parcheggio con stalli riservati a persone con disabilità e donne in gravidanza, mentre l’eliporto è invece a pochi metri dall’ingresso.

Comfort e riservatezza nell’area di attesa

Phone booth fonoassorbenti per le telefonate, book crossing, monitor tv e informativi, wi-fi, charge station, colori ad hoc, cura degli arredi, musica, area ristoro con tavolini e segnaletica intuitiva. Questi gli ingredienti dell’area di attesa, pensata come un ambiente accogliente, rassicurante e funzionale dove, attraverso i monitor, gli accompagnatori sono costantemente informati sull’andamento del percorso del proprio caro.

Ai più piccoli sono invece dedicati un’area esterna, giochi e intrattenimento, monitor tv e una libreria. Previsti inoltre percorsi dedicati alle persone più fragili: un box pediatrico, un’area riservata ai codici rosa per le vittime di violenza, un’isola neonatale per i parti precipitosi e un percorso specifico per gli anziani.

Sei pronto a sostenerci?

Il nostro Pronto Soccorso è pronto ad accogliere ogni anno 45 mila persone provenienti da Roma Sud e dai comuni limitrofi a sud ovest e sul litorale. Collabora inoltre con le strutture di protezione civile in caso di eventi calamitosi ed emergenziali.

I lavori per la sua realizzazione sono iniziati il 19 febbraio 2019 e terminati nel mese di gennaio 2020. Per 75 giorni, fino al 14 giugno 2020, lo spazio è stato quindi prontamente riconvertito in Covid Center e poi inaugurato come Pronto Soccorso il 1° settembre 2020. Dopo essere stato di nuovo trasformato in Covid Center il 2 novembre, la struttura è infine tornata in funzione il 12 luglio 2021.

 

 

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Ridare il tatto a chi è stato amputato

La perdita di una mano in seguito a un evento traumatico è un danno devastante subìto ogni anno da circa 4 mila persone in Italia. Un drastico cambiamento che impatta non solo sull’ambito lavorativo, ma anche sulla sfera personale, limitando fortemente le capacità di compiere attività quotidiane e di interagire con le persone.

Per questo il nostro ateneo è da sempre in prima linea nella neuroprotesica, con un’attenzione particolare al tema del recupero delle capacità sensoriali, grazie all’utilizzo di interfacce neurali.

LifeHand, la prima protesi controllata dal pensiero

Nel 2008, per la prima volta un paziente è riuscito a muovere un arto bionico attraverso la propria mente. LifeHand, questo il nome della prima protesi capace di rispondere agli impulsi cerebrali, è stata il risultato di un progetto finanziato dall’Unione Europea, con il coordinamento dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Proprio nel nostro policlinico universitario sono stati impiantati nel braccio di Pierpaolo Petruzziello i quattro elettrodi che gli hanno permesso di controllare la mano robotica durante il mese di sperimentazioni.

LifeHand 2, la prima mano bionica che ‘sente’ gli oggetti

LifeHand 2, la prima mano bionica indossabile che restituisce all’amputato sensazioni tattili, è stata sperimentata nel 2014 dai nostri medici e bioingegneri insieme all’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’IRCSS San Raffaele di Roma, la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, l’Ecole Polytechnique Federale di Losanna e l’Istituto IMTEK dell’Università di Friburgo.

PPR2, con Inail per restituire le sensazioni propriocettive

Risale sempre al 2014 la partnership tra il nostro ateneo e Inail, l’Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro. Obiettivo, lo sviluppo di una nuova mano bionica impiantabile basata sull’utilizzo di interfacce neurali, per restituire ai pazienti amputati anche sensazioni propriocettive, ovvero la capacità di riconoscere la posizione del corpo nello spazio.

Il sistema protesico è stato quindi ottimizzato dal 2017 al 2019 attraverso l’introduzione di componenti fortemente miniaturizzate, stabili e biocompatibili, per migliorare concretamente la quotidianità dei pazienti.

Sensibilia, il futuro è realtà

L’ultimo passo in avanti si chiama Sensibilia. Una mano bionica che, impiantata in modo sperimentale nel 2019 su Clara, amputata 30 anni prima in seguito a un incidente domestico, ha dimostrato che è possibile compiere con destrezza movimenti anche complessi.

Al termine del progetto, realizzato dal nostro ateneo insieme al Centro Protesi Inail, Clara ha ricevuto una mano bionica simile a quelle della sperimentazione.

Reshape, per mani bioniche percepite come proprie

Ma se il presente si chiama Sensibilia, il futuro è Reshape. Il progetto del dott. Di Pino, laureato in Medicina e Chirurgia, dottorato in Ingegneria Biomedica e specializzato in Neurologia nel nostro ateneo, coniuga Neuroscienze, Ingegneria Biomedica e Clinica Neurologica per permettere agli amputati di non sentirsi più tali, grazie a una mano bionica percepita come propria. La sua idea – passare dal concetto di protesi (dal greco, artefatto, qualcosa di esterno) a quello di endotesi (qualcosa che faccia parte del corpo) – ha convinto nel 2015 a Bruxelles oltre trenta top scientists, tra i quali alcuni Nobel, e ha vinto quindi il prestigioso bando europeo ERC-Starting Grant.

“Il problema – spiega il ricercatore – è che le protesi di oggi sono il frutto dell’evoluzione della robotica industriale e rimangono un corpo estraneo. Il mio desiderio è allora quello di concepire una protesi con cui il soggetto non debba suonarci il piano, ma sentirsi completo durante una serata di gala. E questo è possibile solo partendo dalle sensazioni e dai processi cerebrali umani”.

WiFi-MyoHand, RGM5 e 3DAID

Nella primavera 2021, in collaborazione con il Centro Protesi Inail di Budrio e con la partecipazione della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, il nostro ateneo ha avviato tre nuovi progetti nel campo delle protesi bioniche di arto superiore. WiFi-MyoHand svilupperà una nuova protesi bionica con ritorno sensoriale grazie a un sistema di stimolazione neurale completamente impiantabile e wireless. RGM5 individuerà nuove procedure di chirurgia bionica per l’adattamento del corpo dell’amputato alle protesi più innovative e restituirà la propriocezione. 3DAID realizzerà protesi e ortesi di mano innovative e low-cost grazie all’utilizzo di tecniche avanzate di prototipazione rapida con stampa 3D.

“Girando una serie sui medici al Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, sono venuto a conoscenza di un grande progetto: l’apertura di un nuovo Pronto Soccorso. Per questo “su 1 Caffè sosteniamo l’Associazione Amici dell’Università Campus Bio-Medico di Roma Onlus, e spero lo farete anche voi!”. Il celebre attore Luca Argentero invita così, con un video pubblicato all’interno del suo profilo Instagram, a sostenere la realizzazione nel nostro Pronto Soccorso.

Una raccolta fondi molto particolare quella di Argentero, lanciata attraverso l’associazione di cui è vice presidente: 1 Caffè si ispira alla tradizione del “caffè sospeso” per sostenere e invitare a sostenere ogni settimana una diversa realtà solidale.

Così, grazie alla sensibilità dell’attore, i fondi raccolti attraverso i “caffè sospesi” donati da lunedì 9 a domenica 15 dicembre sono stati destinati alla nascita del nostro Pronto Soccorso. “Lo potrete vedere finito nel 2020”, spiega Argentero. “Magari anche all’interno di alcune scene della serie che stiamo girando”.

 

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Un gruppo di amici che ha scoperto quanto è bello donare. Un’organizzazione senza scopo di lucro formata da persone che vogliono cambiare il mondo un caffè alla volta. L’associazione 1 Caffè si ispira alla tradizione del “caffè sospeso” per sostenere e invitare a sostenere ogni settimana una diversa realtà solidale. Perché “iniziare la giornata con una piccola buona azione è semplice, gratificante, energetico… come bere un caffè. E, se siamo tanti, può davvero fare la differenza!”.

1 Caffè per il nostro Pronto Soccorso

Nei suoi sei anni di attività, l’associazione ha sostenuto più di 400 realtà associative operanti in Italia e nel mondo per diverse cause sociali. 66.959,56 gli euro raccolti nel 2015, fino ad arrivare ai 98.200,00 del 2018.

Ora, grazie alla sensibilità di Luca Argentero, l’associazione ha deciso di destinare alla nascita del nostro Pronto Soccorso i fondi raccolti grazie ai “caffè sospesi” da lunedì 9 a domenica 15 dicembre.

Sostieni la nascita del Pronto Soccorso con un caffè

Accogliere l’invito di 1 Caffè è molto semplice: basta donare online un caffè (1 euro) o una colazione (5 euro) attraverso bonifico bancario, Satispay, Tinaba o Paypal.

Aiutaci a realizzare il Pronto Soccorso, un caffè alla volta.

 

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