17.189 i contribuenti che nel 2017 hanno destinato il proprio 5×1000 all’Università Campus Bio-Medico di Roma, con una crescita percentuale del 2% rispetto all’anno precedente. Grazie a loro, ben 859.445,06 euro andranno a sostenere la ricerca contro le patologie dell’invecchiamento.

I numeri – relativi alle Dichiarazioni dei Redditi del 2017 – sono stati diffusi dall’Agenzia delle Entrate proprio in questi giorni e confermano che ancora una volta è il nostro ateneo l’ente universitario preferito dagli italiani per la destinazione del proprio 5×1000.

Il denaro destinato dai 17.189 contribuenti aiuterà i nostri ricercatori a migliorare la qualità della vita degli anziani, attraverso progetti di ricerca innovativi nella lotta contro le patologie della terza età.

Destinare il 5×1000 alla ricerca scientifica non costa nulla ed è fondamentale per garantire il progresso della medicina e della bioingegneria.

 

Scopri come fare

Una serata musicale pensata dai nostri studenti in memoria di Filippo Baldoni, studente di ingegneria scomparso nel dicembre 2014 a cui è anche stata dedicata una sala prove in UCBM. Un momento semplice ma fortemente sentito soprattutto da quanti avevano conosciuto il giovane, cantante e chitarrista per passione.

 

Capovolgere la clessidra della vita e far ripartire il tempo, lasciando un segno positivo, duraturo e importante per il futuro di tutti, soprattutto dei giovani. In questo consiste la scelta della signora Bruna Piconi, che ha voluto destinare una parte del proprio patrimonio al nostro Ateneo, per sostenere le sue attività d’insegnamento, ricerca e assistenza sanitaria.

Di lei raccontano i nipoti, ai quali non avendo figli era molto legata: “La cara zia Bruna era una persona molto affettuosa, seria e moralmente rigorosa. Stimatissima e apprezzata sul lavoro […] non era sposata, per questo era particolarmente legata alla famiglia delle cugine con le quali era cresciuta. […] Si è dedicata totalmente ai suoi cari, assistendo fino all’ultimo i fratelli durante la loro malattia e la mamma ultracentenaria, deceduta poco prima di lei alla ragguardevole età di 107 anni! A dire il vero l’intera esistenza di Bruna è stata segnata da una grandissima sensibilità verso il prossimo, da una costante disponibilità a sostenere gli altri nelle difficoltà”.

Per questo il lascito a favore della nostra Università – il secondo in assoluto ricevuto dall’Ateneo – dà la dimensione della sua profonda umanità e “trasmette il senso delle sue ultime volontà, una conclusiva dimostrazione di profondi valori cristiani e umani e una sollecitazione a seguire questo esempio di altruismo”.

“L’atto del ‘lasciare’ – ha commentato il Presidente UCBM Felice Barela – è un gesto di generosità coerente con la nostra missione. Il nostro impegno di ogni giorno, come quello della signora Piconi, è garantire prospettive di vita migliori all’intera collettività, prendendoci cura dell’essere umano in ogni ambito che lo riguarda”.

Due chitarre, una bottiglia di vino, spartiti e appunti sparsi sul tavolo, tra chiacchiere e canzoni, come due buoni amici dopo cena. Questi gli ingredienti di Due amici dopo cena tra chiacchiere e canzoni, serata promossa da UCBM il 12 dicembre a sostegno delle borse di studio destinate ai suoi migliori studenti. Protagonisti, Edoardo De Angelis e Neri Marcorè, con un’intervista che è diventata via via incontro musicale.

Una serata a favore delle borse di studio universitarie

Chiacchiere sulla vita, la carriera, avventure e storie passate… E poi, tra un racconto e l’altro, le canzoni più conosciute di De Angelis, ma anche quelle dei cantautori più amati da entrambi: De Andrè, Tenco, Gaber, Endrigo, De Gregori, Dalla, Fossati.

La formula, inconsueta, è stata particolarmente gradita al pubblico. Durante la serata sono stati raccolti circa 15 mila euro in donazioni a favore dell’erogazione di borse di studio, per coltivare la competenza di studenti destinati a diventare e inventare il futuro della Medicina e dell’Ingegneria.

 

Marcoré e De Angelis
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Grazie a…

La serata è stata organizzata con il supporto di Gratta e vinciSiemens Healthineers. Si ringraziano inoltre Abbott, Alse Medica, Arthex, Ecoeridania, FBM, FP Network, IQ Medica, Johnson, Lima, Medica Vision, Medtronic, Pedevilla, Servizi Ospedalieri, SP Med, Tecnosan, Vincal.

 

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È la prima Breast Unit in tutta la Palestina, e parla italiano. È stata presentata a Beit Jala (Betlemme) domenica 9 dicembre e potrà seguire almeno 150 pazienti l’anno, pari a circa il 40 per cento di tutti i casi di tumore al seno del Paese.

Il primo e unico centro senologico multidisciplinare palestinese è nato grazie alla collaborazione tra l’Ufficio di Gerusalemme dell’AICS – Agenzia Italiana della cooperazione allo sviluppo, Elis Ong – che ha elaborato il progetto – e l’Università Campus Bio-Medico di Roma, che ha fornito i suoi medici e l’esperienza della Breast Unit attiva presso il proprio Policlinico Universitario. Grazie a loro, la senologia palestinese è ora al livello delle Breast Unit europee, volute dall’UE sin dal 2003.

300 screening diagnostici in due mesi

Il progetto, pensato insieme al Ministero della Sanità del governo palestinese, ha previsto la formazione di professionisti locali attraverso training sia in loco che a Roma, presso il Policlinico Universitario Campus Bio-Medico. “Abbiamo aderito molto volentieri a questo progetto – ha dichiarato Davide Lottieri, vicepresidente di UCBM. “Da tanti anni stiamo costruendo legami con altri Paesi e con strutture universitarie in tutto il mondo per arricchire i nostri studenti e cooperare insieme agli altri”.

Il reparto dell’ospedale di Beit Jala, recentemente ristrutturato e adattato, può contare oggi su un ecografo, un mammografo con tomosintesi e sistemi informatici. Grazie ad essi, l’equipe multidisciplinare formata da oncologi, senologi, chirurghi plastici e infermieri ha già effettuato 300 screening diagnostici nei primi due mesi di attività. 26 le donne che hanno scoperto di avere un cancro al seno in fase precoce: per loro la Breast Unit è intervenuta tempestivamente, facendo al tempo stesso risparmiare alla sanità palestinese l’equivalente di oltre 200 mila dollari per le sole indagini diagnostiche.

Solo un primo passo a favore delle donne palestinesi

Prima dell’apertura di questa Unità, le donne palestinesi che desideravano effettuare screening oncologici dovevano aspettare da 4 a 6 mesi, ovvero un lasso di tempo in cui le condizioni di salute possono aggravarsi seriamente. Erano costrette a recarsi in Giordania o in Israele, con trasferte che potevano durare anche mesi.

È stato un percorso scientifico e umano molto ricco, che ha permesso di colmare un vuoto molto importante nella sanità palestinese – spiega Vittorio Altomare, responsabile della Breast Unit romana e direttore scientifico del progetto. “I medici e gli infermieri palestinesi hanno accolto con entusiasmo l’impostazione multidisciplinare delle Breast Unit europee. Noi continueremo a esser loro vicini per accrescere questo patrimonio e portare il loro tasso di guarigione ai livelli delle donne europee. Nei prossimi mesi infatti apriremo un reparto di ricovero dedicato alle donne, daremo il via all’utilizzo della tecnica a ultrasuoni intraoperatoria per la chirurgia oncoplastica, acquisiremo una nuova tecnica per l’individuazione del linfonodo sentinella. Insieme daremo vita a uno studio scientifico e infine, nel marzo 2019, terremo il secondo convegno congiunto italo-palestinese presso la sede di UCBM”.

“La Breast Unit ha portato un grande cambiamento nel nostro Paese – ha spiegato Nida Khaliltecnica di radiologia e operatrice della Breast Unit di Beit Jala. “Appena una donna sospetta un problema al seno, noi oggi possiamo effettuare una biopsia, conoscere lo stadio della malattia e sapere come curarla. Sono andata personalmente nei mercati e per le strade e ho invitato le donne a utilizzare il nostro centro per fare prevenzione e curarsi”.

Prosegue nel nostro Policlinico Universitario il progetto di musicoterapia che, ogni quarto giovedì del mese, prevede concerti pensati sia per i pazienti che per il personale medico.

Protagonista stavolta sarà l’arpa di Augusta Giraldi.

Prosegue nel nostro Policlinico Universitario il progetto di musicoterapia che, ogni quarto giovedì del mese, prevede concerti pensati sia per i pazienti che per il personale medico.

Protagoniste stavolta saranno la voce di Sara Bartolucci e la chitarra di Simona Iemmolo.

La pratica del testamento solidale si sta facendo sempre più strada nel nostro Paese. Stando ai numeri, tra gli oltre 32 milioni di Italiani che hanno sostenuto negli ultimi anni una causa benefica, aumentano coloro i quali hanno scelto di donare attraverso le ultime volontà.

Dall’ultima indagine GFK Italia del 2016 per il Comitato Testamento Solidale, è emerso che il 14% degli italiani è pronto a inserire nelle disposizioni testamentarie un lascito; il 3% ha dato già dato indicazioni mentre l’11% è intenzionato a farlo. Non solo; da una stima elaborata dall’Osservatorio Fondazione Cariplo, potenzialmente da qui al 2030 la propensione degli italiani verso il lascito solidale continuerà a salire: circa 420 mila famiglie italiane utilizzeranno il testamento solidale per lasciare in beneficenza parte del proprio patrimonio in favore di cause sociali, scientifiche e umanitarie, nel rispetto dei diritti dei propri eredi.

Un metro e 86 centimetri per 110 chili di salute e potenza. Il fisico incute indubbiamente un sano timore reverenziale. Il sorriso, però, è di quelli rassicuranti. L’incontro con Sergio Parisse, campione di rugby, dietro le quinte dello shooting per la nostra campagna 5×1000, è l’occasione per conoscere meglio un campione che tanto e ancor più vuole regalare. Al rugby e non solo.

Sei tra i giocatori con più presenze nella Nazionale italiana: come si raggiunge un traguardo come questo?

Ci vuole sicuramente tantissimo impegno, costanza negli allenamenti e determinazione. Essendomi dedicato in questi anni esclusivamente al rugby, ho cercato di fare grande attenzione, in allenamento e nelle fasi di recupero, ai dettagli che fanno la differenza. Ho sempre fatto tutto per poter dare il massimo in campo. Come si giocano tutte queste partite? Serve serietà, professionalità e anche un pizzico di fortuna, perché in uno sport come il nostro gli infortuni sono dietro l’angolo.

Che cosa significa per te ‘giocare di squadra’?

È semplice: nel rugby le individualità sono importanti solo se si mettono al servizio del collettivo, perché nessuno vince le partite da solo. C’è bisogno dell’aiuto di tutti i compagni. È lo sport in cui ‘fare squadra’ per eccellenza. Come nella vita, perché, in fondo, è lo stesso: tante volte si hanno le capacità, le abilità per svolgere bene un certo lavoro o rapportarsi con le persone, ma poi c’è bisogno di qualcuno che ci dia una mano. Abbiamo bisogno di persone importanti nella nostra vita per andare avanti. Non si fa fortuna senza il sostegno degli altri. Un po’ come su un campo di rugby.

Il rapporto con il tuo fisico: come lo vivi adesso, rispetto a 10 anni fa?

Il rugby è cambiato moltissimo. Oggi è fondamentale avere una forma fisica ottimale. Tanti elementi che dieci anni fa trascuravo, come il recupero, il fatto di dormire bene ed essere attento all’alimentazione, non posso più eluderli. D’altra parte, da ragazzino, dopo ogni partita recuperavo più velocemente, il lunedì ero già fresco e pronto per la gara successiva. Oggi, sicuramente impiego un po’ di più a smaltire le tossine… Tra l’altro, giocare tantissime partite e prendere tutte le botte che ho preso mi costringe a stare sempre più attento ai fattori esterni.

Qual è il tuo rapporto con gli anni che passano?

Molto positivo: con il tempo ho acquisito tanta esperienza e ho dietro le spalle innumerevoli situazioni di stress, emozioni, partite vinte o perse. Quindi, approccio in modo molto più pacato e sereno le sfide importanti rispetto a qualche anno fa. Certo, l’adrenalina, la voglia e l’emozione sono sempre forti, ma dopo aver vissuto tanti pre o post-partita, magari per una finale, oggi riesco a gestire meglio le mie energie mentali. Da giovane, mentalmente, spendevo tantissimo già solo al pensiero della gara.

È vero che il venerdì dei pre-partita hai un appuntamento fisso con una bistecca? Quanto è grande?

La bistecca è sempre oltre 1 kg e 300 grammi… è un’abitudine ormai, vado dal mio macellaio di fiducia a Parigi e devo dire che non potrei farne a meno.

Come sarà Sergio Parisse tra 30 anni?

Spero di star bene fisicamente e, soprattutto, di essere ancora in salute. Certo, non potrò più giocare a rugby, ma mi auguro di rimanere in quest’ambito, perché è la mia grande passione. Magari da allenatore: per trasmettere le mie conoscenze ed esperienze ai giocatori più giovani che vogliono intraprendere questa carriera.

Sono Giovanni Imparato con voce e percussioni e Stefano Scartocci al pianoforte i due protagonisti di un nuovo concerto in Policlinico, stavolta serale e proposto con l’obiettivo di sostenere i progetti di musicoterapia del nostro Policlinico Universitario.