Porta il nome di Sonia Manduca, giovane donna siciliana scomparsa per tumore all’età di 43 anni, la borsa prodotta da Firminio, un’azienda italiana di accessori artigianali che ha scelto di sostenere l’utilizzo del test Prosigna su donne malate di tumore al seno, con ricadute positive sull’avanzamento della ricerca condotta dal nostro Ateneo.

Tutte le creazioni di Firminio sono ispirate a vite di donne e ne rappresentano caratteristiche, fragilità e sfumature. Sonia, piccola borsa in pelle della collezione primavera-estate 2017, racconta la storia di una donna solare, sorridente, amante della vita, della musica, della moda e dei colori vivaci.

Il ricavato delle vendite permetterà ad alcune pazienti con specifica diagnosi di tumore al seno di sottoporsi gratuitamente al test Prosigna presso il nostro Policlinico Universitario.

Il test è l’unico esame genetico in Italia che definisce con accuratezza la categoria di rischio di recidiva tumorale a dieci anni dall’intervento chirurgico per carcinoma mammario. Una classificazione che guida l’oncologo nelle scelte terapeutiche più appropriate evitando, quando possibile, di sottoporre la paziente alle cure chemioterapiche.

Uno studio pilota condotto su 11 pazienti con malattia di Parkinson aggiunge un nuovo tassello alle evidenze scientifiche finora raccolte sull’efficacia dell’AMPS (stimolazione automatica meccanica periferica), una tecnica di stimolazione plantare erogata con il dispositivo medico Gondola, che attiva alcune aree cerebrali deputate al movimento.

Lo studio è stato svolto dal dott. Carlo Cosimo Quattrocchi, Ricercatore di Diagnostica per Immagini e Neuroradiologia del nostro Ateneo, sotto il coordinamento del prof. Fabrizio Stocchi, Responsabile del Centro per la cura e la diagnosi del Parkinson dell’IRCCS San Raffaele di Roma.

I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista scientifica PlosOne, dimostrano che la AMPS determina una maggiore attivazione delle regioni cerebrali coinvolte nella gestione del movimento e nell’analisi dello spazio circostante.

“La stimolazione automatica meccanica periferica – commenta Carlo Quattrocchi – ha un effetto su quelle aree cerebrali che nei pazienti parkinsoniani vengono abitualmente reclutate per compensare i deficit conseguenti alla malattia. Dopo una singola stimolazione migliorano velocità di cammino, equilibro e cadenza dei passi. Resta da dimostrare quali pazienti con Parkinson possono ottenere maggiori benefici da questa terapia e la durata degli effetti osservati sui sintomi motori”.

Dolore, contrattura muscolare e rigidità alla zona lombare: sono questi i principali sintomi della lombalgia, disturbo estremamente frequente in età adulta, con massima incidenza in soggetti tra i 40-50 anni di età di entrambi i sessi.

Nel 95% dei casi le cause di questo disturbo sono di tipo meccanico, derivanti da squilibri statici e dinamici che determinano contratture dei muscoli paravertebrali e artrosi delle articolazioni intervertebrali. I principali fattori di rischio sono rappresentati da sedentarietà, posture non ergonomiche e stress, ma anche da patologie preesistenti quali scoliosi, cifosi e osteocondrosi giovanili. Tutti fattori che, se trascurati, specialmente in gravidanza o in età avanzata, possono causare un peggioramento delle condizioni del paziente. Circa l’80% della popolazione è colpito da lombalgia almeno una volta durante la vita e oltre il 30% è trattato in modo inadeguato o in ritardo.

Riabilitazione e terapie strumentali per contrastare il dolore

“Per prevenire la cronicizzazione del problema è importante limitare al minimo il riposo a letto e iniziare subito un programma di riabilitazione – spiega la prof. ssa Silvia Sterzi, responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Medicina Fisica e Riabilitazione del Policlinico Universitario –. Esercizi specifici eseguiti correttamente non solo non aggravano la patologia, ma assumono un ruolo chiave nel trattamento della sintomatologia dolorosa, garantendo l’integrità del sistema muscolo-scheletrico”.

In fase acuta terapie strumentali quali Tecar, InterX e laserterapia riducono l’infiammazione e di conseguenza il dolore, mentre la rieducazione posturale (Mezieres, Souchard, Feldenkrais) è fondamentale per ridurre al minimo le riacutizzazioni. “Spesso i pazienti giungono quando il dolore è già in fase cronica – conclude Sterzi – È importante invece ricorrere al medico fisiatra quanto prima per agire tempestivamente”.

Un assistente virtuale per i pazienti affetti da malattia di Parkinson, attivo 24 ore al giorno, 7 giorni su 7. “Il Neurologo risponde” è il prototipo sviluppato grazie alla collaborazione tra il nostro Ateneo e IBM e presentato in occasione della Giornata Nazionale per il Parkinson, iniziativa alla quale ha aderito anche il nostro Policlinico Universitario.

Il software utilizzerà sistemi d’intelligenza artificiale (IBM Watson) per assistere la persona affetta da Parkinson nella gestione ordinaria della patologia, dando consigli utili e rispondendo alle domande che gli saranno poste. Pazienti ma anche familiari e caregivers potranno in tempo reale soddisfare curiosità sulla malattia e avere risposte a dubbi sul trattamento farmacologico.

Un sistema che, costantemente monitorato dagli specialisti, potrà contribuire a migliorare i processi di diagnosi e cura della malattia di Parkinson, che solo in Italia colpisce circa 300 mila persone. “Un numero – spiega la dott.ssa Lucia Florio, neurologa presso UCBM – destinato a raddoppiare nei prossimi 15 anni, mentre si abbassa l’età dei pazienti che ne sono affetti”.

Stimolazione cerebrale profonda per agire sui neuroni

Sul fronte terapeutico, il nostro Policlinico Universitario è in grado di gestire la fase di programmazione della stimolazione cerebrale profonda, una tecnica chirurgica che prevede l’impianto di elettrodi nel cervello e il loro collegamento a un generatore di impulsi elettrici (pacemaker) collocato all’altezza del torace. La stimolazione elettrica agisce sui neuroni contribuendo a ridurre per un lungo periodo i sintomi del Parkinson quali movimenti involontari e complicanze motorie.

“Nella fase avanzata della malattia – spiega il dott. Lazzaro di Biase, dottorando in Scienze dell’invecchiamento e della Rigenerazione tissutale presso UCBM – il paziente può presentare fluttuazioni della sintomatologia. Quando la terapia farmacologica non è sufficiente a controllare i sintomi, è necessaria una stimolazione continua dei neuroni, che può avvenire chimicamente, attraverso l’infusione sottocutanea di apomorfina o l’infusione intestinale di levodopa/carbidopa gel, oppure elettricamente. Oggi i dispositivi di ultima generazione di stimolazione cerebrale profonda possono offrire ai pazienti un recupero concreto e significativo della qualità di vita”.

Recuperare le funzioni motorie perse a seguito di un ictus attraverso l’esecuzione di giochi interattivi, con una grafica piacevole e sofisticati sistemi di controllo che semplificano la vita al fisioterapista nel percorso di riabilitazione. Un lavoro che, per la prima volta, è possibile svolgere direttamente a casa del paziente. È quanto promette Icone, primo prodotto lanciato da ICan Robotics, azienda spin-off del nostro Ateneo fondata da un gruppo di bioingegneri che hanno studiato proprio in UCBM.

Il dispositivo ha appena ricevuto dal Ministero della Salute il marchio CE per l’utilizzo medicale anche a domicilio. Icone, infatti, è un sistema estremamente compatto e trasportabile, non ha bisogno di essere montato e funziona attraverso un’interfaccia grafica touch molto semplice da utilizzare, sia per il fisioterapista sia per il paziente.

Essendo finora l’unico robot al mondo a poter essere impiegato anche al di fuori di ospedali o centri di riabilitazione, va direttamente incontro all’esigenza di attivazione di servizi di neuroriabilitazione domiciliare, con i benefici che ne conseguono sia sulla qualità di vita del paziente e dei suoi familiari o caregiver, sia sull’impatto economico per il Servizio Sanitario Nazionale.

Curarsi a casa seguiti da remoto

I numeri che riguardano la patologia sono, infatti, altissimi. L’ictus in Italia è la prima causa di invalidità, nonché la terza di morte. Secondo i dati dell’Associazione Lotta all’Ictus Cerebrale (ALICe, 2016) circa 913 mila italiani sono sopravvissuti a un ictus. La maggior parte di loro ha bisogno proprio di quelle terapie che attraverso Icone il medico può seguire anche a distanza. Il software infatti permette allo specialista fisiatra di consultare i progressi anche da remoto, ponendo il device nell’ampia frontiera dell’e-health: curarsi a casa senza rinunciare all’assistenza medica di un esperto certificato.

“Per ottenere questo risultato – spiega l’ing. Dino Accoto, docente UCBM e co-fondatore di Ican Robotics – c’è voluto un notevole livello d’innovazione tecnica, inseguita per anni da molti gruppi a livello internazionale, per via dell’impatto potenziale di questo tipo di sistema sulla qualità di vita dei pazienti e anche, ovviamente, sull’economia dell’SSN”.

L’azienda che ha progettato Icone, inoltre, è una realtà tutta italiana e ha l’obiettivo di rivoluzionare il concetto stesso di riabilitazione post-ictus e di terapie per problemi di motricità dell’arto superiore.

Ennio Morricone, genio indiscusso della musica classe 1928, il più grande compositore cinematografico degli ultimi decenni (due premi Oscar, tre Grammy Awards, dieci David di Donatello, undici Nastri d’Argento, un Golden Globe e un Leone d’Oro alla carriera), festeggia quest’anno il 60° anniversario da compositore e direttore d’orchestra con un tour mondiale. Tre saranno le tappe italiane: Roma, Verona, e Lucca. E senza dubbio porterà con sé sul palco e nel mondo un po’ del nostro Ateneo.

Facciamo un passo indietro. È la notte tra il 2 e il 3 agosto del 2015 e, all’età di 87 anni, Ennio Morricone si rompe il femore a seguito di una caduta accidentale. Tremano i fan e con loro anche il mondo del cinema, da Venezia a Hollywood. Qualche giorno dopo verrà operato all’interno del nostro Policlinico Universitario dal prof. Vincenzo Denaro, primario emerito di Ortopedia e Traumatologia. È la sera del 12 settembre 2015 e un uomo in carrozzina sale sul palco dell’Arena di Verona per dirigere il concerto davanti a 14.000 persone. È Ennio Morricone, il maestro, sul palco a soltanto un mese dall’operazione.

Al Foro Italico per aiutare la ricerca sulla colonna vertebrale

Per la tappa capitolina del suo tour mondiale, il prossimo 7 luglio, il Maestro ha deciso di donare i proventi al nostro Ateneo per sostenere la ricerca sulle cellule staminali per le malattie degenerative dell’apparato locomotore. L’Università Campus Bio-Medico nel cuore di Morricone. “Essere un medico – afferma il Maestro – è una missione incredibile. Nel Policlinico Universitario Campus Bio-Medico ho visto il prof. Denaro, gli altri medici e i loro collaboratori prendersi cura con grande attenzione di tutti i malati, compreso me. Se dovessi dedicare un mio brano al prof. Denaro sceglierei Mission, ma vorrei scrivere un pezzo proprio per lui, un brano che mi esca dal cuore”.

Terapie personalizzate a partire dal capello del paziente, grazie alla creazione in vitro di cellule neuronali. È la nuova frontiera della ricerca sull’autismo, che vede in prima linea l’Università Campus Bio-Medico di Roma e il King’s College di Londra.

La messa a punto di terapie personalizzate è quanto promette una mappatura sempre più dettagliata del genoma. Oggi questo è possibile grazie a una tecnica innovativa, conosciuta come ArrayCGH, ossia Comparative Genomic Hybridization, utilizzata presso i laboratori del Centro Mafalda Luce per i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo di Milano. È all’interno di questa struttura che la nostra Università svolge attività clinica e di ricerca sull’autismo. A breve, grazie al recente acquisto di un sequenziatore di nuova generazione, i ricercatori del Centro avvieranno l’attività di sequenziamento del DNA (Next Generation Sequencing, NGS), processo che permette a sua volta di individuare la causa genetica dell’autismo.

Un impegno dall’orizzonte internazionale

UCBM inoltre è entrata a far parte del Consorzio Mondiale dell’Autismo, coordinato dall’Università di New York Monte Sinai, che ha come scopo proprio il sequenziamento del genoma di soggetti autistici tramite NGS. Continua poi da parte dell’Ateneo l’impegno all’interno del NIDA (Network italiano per il riconoscimento precoce dei disturbi dello spettro autistico), mirato all’individuazione di atipicità evolutive già nel primo anno di vita di un bambino.

Nel prossimo triennio, i nostri ricercatori si occuperanno di identificare in modo sempre più approfondito mutazioni e varianti genetiche rare attraverso l’analisi del genoma di famiglie con bambini ad alto rischio. L’identificazione tempestiva delle varianti permetterà l’inserimento di questi bambini all’interno di un opportuno e mirato programma di intervento terapeutico sempre più efficace e personalizzato.

Presidente della Società Italiana di Chirurgia Vertebrale, il prof. Vincenzo Denaro, Primario Emerito dell’Unità Operativa Complessa di Ortopedia e Traumatologia del nostro Policlinico Universitario, è stato il primo in Italia a eseguire un intervento di stabilizzazione vertebrale con placche e viti.

“Era il 31 ottobre 1979 – racconta – ero rientrato in Italia dopo due anni trascorsi a Parigi come allievo del prof. Roy-Camille. Lui è il pioniere degli interventi di stabilizzazione della colonna, il primo ad aver messo a punto una tecnica per cui le vertebre possono essere operate e quindi contenute completamente attraverso l’inserimento di viti nelle vertebre stesse”.

Approccio etico e formazione polispecialistica

Le patologie legate alla colonna vertebrale sono di quattro tipi: traumatiche (dovute a fratture), neoplastiche (derivate da tumori), degenerative della colonna (ernia al disco, scivolamento vertebrale, deformità, scoliosi) e deformità post traumatiche. Gli interventi di stabilizzazione della colonna sono molto complessi e richiedono l’intervento di più specialisti.

Ogni anno presso il nostro Policlinico Universitario si effettuano circa 120 interventi alla colonna, di cui 70 di stabilizzazione. La loro riuscita è il prodotto di un accurato atto chirurgico e di un lavoro d’équipe multidisciplinare. Si può garantire infatti un buon risultato solo attraverso la collaborazione tra l’ortopedico e specialisti di diverse aree, che accompagnano il paziente prima, durante e dopo l’intervento così da ottenere un quadro clinico completo ed esaustivo.

“La collaborazione – conclude Denaro – è fondamentale per il successo dell’intervento, così come un approccio etico e una formazione polispecialistica”. Sono questi i principi messi in pratica per curare ogni paziente.

“Dopo l’intervento mi sento una nuova persona, con vent’anni in meno. Il dolore permanente di schiena, spalle e collo, così come quelli di testa (frequentissimi da più di 16 anni) sono spariti” è la testimonianza di una paziente che arriva da Gerusalemme.

 

Dona ora per la ricerca sulla colonna vertebrale

La morte dell’area del cervello che produce la dopamina, un neurotrasmettitore essenziale per alcuni meccanismi di comunicazione tra i neuroni: sarebbe questa la causa del morbo di Alzheimer secondo lo studio pubblicato su Nature Communications da un’equipe di ricercatori coordinati da Marcello D’Amelio, responsabile dell’Unità di Ricerca di Neuroscienze Molecolari UCBM, in collaborazione con la Fondazione IRCCS Santa Lucia e il CNR di Roma.

L’origine dell’Alzheimer non è nella memoria

L’origine della patologia, che solo in Italia colpisce mezzo milione di persone oltre i 60 anni di età, non andrebbe ricercata dunque nell’ippocampo, la struttura del sistema nervoso centrale coinvolta nelle funzioni della memoria e su cui i ricercatori si sono focalizzati negli ultimi 20 anni.

“Abbiamo effettuato un’accurata analisi morfologica del cervello – spiega D’Amelio – e abbiamo scoperto che quando vengono a mancare i neuroni dell’area tegmentale ventrale, che producono la dopamina, il mancato apporto di questo neurotrasmettitore provoca il conseguente malfunzionamento dell’ippocampo, anche se tutte le cellule di quest’ultimo restano intatte, causandone il ‘tilt’ che genera la perdita di memoria”. Un meccanismo risultato perfettamente coerente con le descrizioni cliniche della patologia di Alzheimer fatte dai neurologi.

Una scoperta confermata in laboratorio

Un’ulteriore conferma della scoperta è stata possibile somministrando in laboratorio, su modelli animali, due diverse terapie: una con L-DOPA, un amminoacido precursore della dopamina; l’altra basata su un farmaco che ne inibisce la degradazione. In entrambi i casi, dopo aver iniettato il rimedio, si è registrato il recupero completo della memoria in tempi relativamente rapidi. Nel corso dei test, gli scienziati hanno registrato – accanto al miglioramento delle funzionalità mnesiche – anche il pieno ripristino della facoltà motivazionale e della vitalità. Si tratta di una seconda, importante, scoperta.

“Abbiamo verificato – chiarisce D’Amelio – che l’area tegmentale ventrale rilascia la dopamina anche nel nucleo accumbens, l’area che controlla la gratificazione e i disturbi dell’umore, garantendone il buon funzionamento. Per cui con la degenerazione dei neuroni che producono dopamina, aumenta anche il rischio di andare incontro a una progressiva perdita di iniziativa fino all’apatia, indice di un’alterazione patologica dell’umore”.

I cambiamenti nel tono dell’umore non sarebbero dunque – come si credeva fino ad oggi – una conseguenza della comparsa dell’Alzheimer, ma piuttosto una sorta di campanello d’allarme dietro il quale si nasconde l’inizio subdolo della patologia.

Nuove prospettive per la cura di Alzheimer e Parkinson

Le prospettive che lo studio schiude sono molteplici. “Il prossimo passo – spiega ancora il docente UCBM – dovrà essere la messa a punto di tecniche neuro-radiologiche più efficaci, in grado di farci accedere ai segreti custoditi nell’area tegmentale ventrale, per scoprirne i meccanismi di funzionamento e degenerazione.

Inoltre, i risultati ottenuti suggeriscono di non sottovalutare i fenomeni depressivi nella diagnosi di Alzheimer, perché potrebbero andare di pari passo con la perdita della memoria.

Infine, poiché pure il Parkinson è causato dalla morte dei neuroni che producono la dopamina, è possibile immaginare che le strategie terapeutiche future per entrambe le malattie potranno concentrarsi su un obiettivo comune: impedire in modo ‘selettivo’ la morte di questi neuroni”.

 

Dona ora per la Ricerca

Come ogni mese, ritorna la possibilità di donare il sangue presso l’autoemoteca posizionata nel piazzale interno dell’Ateneo, tra gli edifici PRABB e Trapezio.