Oltre 300 partecipanti guidati dal motto “Nessuno perde, tutti vincono”, 7 chilometri di percorso per le vie del centro di Roma e un obiettivo comune: sensibilizzare sull’importanza dell’attività fisica e di una corretta alimentazione per la prevenzione del tumore al seno. Nonostante fosse solo alla sua prima edizione, Bicinrosa, pedalata solidale promossa dall’Associazione Amici dell’Università Campus Bio-Medico di Roma Onlus, ha registrato un ampio successo di partecipazione.
Proposto domenica 22 ottobre, mese tradizionalmente dedicato alla lotta contro il tumore al seno, l’evento ha altresì contribuito alla ricerca contro questa patologia. I fondi raccolti tramite le singole sottoscrizioni partecipative sono stati devoluti infatti alla Breast Unit del nostro Policlinico Universitario, centro di senologia multidisciplinare che permette alla donna di affrontare l’intero percorso di malattia accompagnata da un team di specialisti dedicati e secondo i più alti standard europei.
Arricchito dalla presenza di due testimonial d’eccezione – la regista Cinzia TH Torrini e il presentatore televisivo Fabrizio Frizzi – il successo di Bicinrosa è stato reso possibile dal supporto di partner istituzionali, organizzativi e tecnici quali la Rappresentanza in Italia della Commissione europea, lo Europe Direct Rome e l’ASD Ciclismo Lazio.
Il mal di schiena causato dalla degenerazione del disco intervertebrale è ad oggi una delle patologie più diffuse, ma non dispone ancora di una cura efficace. Per questo e per le gravi disabilità che comporta, l’Organizzazione Mondiale della Sanità lo ha incluso nella lista delle 20 patologie a cui dare massima priorità.
I ricercatori della nostra Unità di Ortopedia e Traumatologia, coordinati dal prof. Vincenzo Denaro, sperimentano da circa 15 anni l’utilizzo di cellule staminali mesenchimali del midollo osseo per la cura delle fasi iniziali e intermedie della degenerazione del disco intervertebrale.
L’uso di questa terapia cellulare per ridurre in tempi brevi e con effetti di lunga durata sia il dolore sia la disabilità provocati dalla degenerazione del disco intervertebrale è il focus del progetto RESPINE. “L’obiettivo – spiega il dott. Gianluca Vadalà, responsabile del progetto – è rendere disponibile una terapia per la cura della degenerazione del disco clinicamente testata e facilmente accessibile”. UCBM è l’unica rappresentante per l’Italia insieme ad altri ospedali, università e centri di ricerca in Francia, Spagna, Irlanda e Germania.
Al via la fase di sperimentazione
Dopo anni di sperimentazione in vitro e studi preclinici in vivo su modelli animali dagli esiti positivi, il progetto RESPINE consentirà di avviare la fase di sperimentazione clinica grazie a un finanziamento UE di 500 mila euro nell’ambito del programma Horizon 2020.
La sperimentazione coinvolgerà 112 pazienti affetti da degenerazione del disco, selezionati tra i centri che fanno parte del progetto. I pazienti scelti saranno sottoposti in regime controllato alla nuova terapia, che prevede un’iniezione nel disco intervertebrale di cellule staminali mesenchimali provenienti dal midollo osseo.
La sperimentazione consentirà di provare l’efficacia della terapia e, inoltre, di approfondire la sicurezza e la risposta immunitaria dell’organismo.
Porta il nome di Sonia Manduca, giovane donna siciliana scomparsa per tumore all’età di 43 anni, la borsa prodotta da Firminio, un’azienda italiana di accessori artigianali che ha scelto di sostenere l’utilizzo del test Prosigna su donne malate di tumore al seno, con ricadute positive sull’avanzamento della ricerca condotta dal nostro Ateneo.
Tutte le creazioni di Firminio sono ispirate a vite di donne e ne rappresentano caratteristiche, fragilità e sfumature. Sonia, piccola borsa in pelle della collezione primavera-estate 2017, racconta la storia di una donna solare, sorridente, amante della vita, della musica, della moda e dei colori vivaci.
Il ricavato delle vendite permetterà ad alcune pazienti con specifica diagnosi di tumore al seno di sottoporsi gratuitamente al test Prosigna presso il nostro Policlinico Universitario.
Il test è l’unico esame genetico in Italia che definisce con accuratezza la categoria di rischio di recidiva tumorale a dieci anni dall’intervento chirurgico per carcinoma mammario. Una classificazione che guida l’oncologo nelle scelte terapeutiche più appropriate evitando, quando possibile, di sottoporre la paziente alle cure chemioterapiche.
Uno studio pilota condotto su 11 pazienti con malattia di Parkinson aggiunge un nuovo tassello alle evidenze scientifiche finora raccolte sull’efficacia dell’AMPS (stimolazione automatica meccanica periferica), una tecnica di stimolazione plantare erogata con il dispositivo medico Gondola, che attiva alcune aree cerebrali deputate al movimento.
Lo studio è stato svolto dal dott. Carlo Cosimo Quattrocchi, Ricercatore di Diagnostica per Immagini e Neuroradiologia del nostro Ateneo, sotto il coordinamento del prof. Fabrizio Stocchi, Responsabile del Centro per la cura e la diagnosi del Parkinson dell’IRCCS San Raffaele di Roma.
I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista scientifica PlosOne, dimostrano che la AMPS determina una maggiore attivazione delle regioni cerebrali coinvolte nella gestione del movimento e nell’analisi dello spazio circostante.
“La stimolazione automatica meccanica periferica – commenta Carlo Quattrocchi – ha un effetto su quelle aree cerebrali che nei pazienti parkinsoniani vengono abitualmente reclutate per compensare i deficit conseguenti alla malattia. Dopo una singola stimolazione migliorano velocità di cammino, equilibro e cadenza dei passi. Resta da dimostrare quali pazienti con Parkinson possono ottenere maggiori benefici da questa terapia e la durata degli effetti osservati sui sintomi motori”.
Dolore, contrattura muscolare e rigidità alla zona lombare: sono questi i principali sintomi della lombalgia, disturbo estremamente frequente in età adulta, con massima incidenza in soggetti tra i 40-50 anni di età di entrambi i sessi.
Nel 95% dei casi le cause di questo disturbo sono di tipo meccanico, derivanti da squilibri statici e dinamici che determinano contratture dei muscoli paravertebrali e artrosi delle articolazioni intervertebrali. I principali fattori di rischio sono rappresentati da sedentarietà, posture non ergonomiche e stress, ma anche da patologie preesistenti quali scoliosi, cifosi e osteocondrosi giovanili. Tutti fattori che, se trascurati, specialmente in gravidanza o in età avanzata, possono causare un peggioramento delle condizioni del paziente. Circa l’80% della popolazione è colpito da lombalgia almeno una volta durante la vita e oltre il 30% è trattato in modo inadeguato o in ritardo.
Riabilitazione e terapie strumentali per contrastare il dolore
“Per prevenire la cronicizzazione del problema è importante limitare al minimo il riposo a letto e iniziare subito un programma di riabilitazione – spiega la prof. ssa Silvia Sterzi, responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Medicina Fisica e Riabilitazione del Policlinico Universitario –. Esercizi specifici eseguiti correttamente non solo non aggravano la patologia, ma assumono un ruolo chiave nel trattamento della sintomatologia dolorosa, garantendo l’integrità del sistema muscolo-scheletrico”.
In fase acuta terapie strumentali quali Tecar, InterX e laserterapia riducono l’infiammazione e di conseguenza il dolore, mentre la rieducazione posturale (Mezieres, Souchard, Feldenkrais) è fondamentale per ridurre al minimo le riacutizzazioni. “Spesso i pazienti giungono quando il dolore è già in fase cronica – conclude Sterzi – È importante invece ricorrere al medico fisiatra quanto prima per agire tempestivamente”.
Un assistente virtuale per i pazienti affetti da malattia di Parkinson, attivo 24 ore al giorno, 7 giorni su 7. “Il Neurologo risponde” è il prototipo sviluppato grazie alla collaborazione tra il nostro Ateneo e IBM e presentato in occasione della Giornata Nazionale per il Parkinson, iniziativa alla quale ha aderito anche il nostro Policlinico Universitario.
Il software utilizzerà sistemi d’intelligenza artificiale (IBM Watson) per assistere la persona affetta da Parkinson nella gestione ordinaria della patologia, dando consigli utili e rispondendo alle domande che gli saranno poste. Pazienti ma anche familiari e caregivers potranno in tempo reale soddisfare curiosità sulla malattia e avere risposte a dubbi sul trattamento farmacologico.
Un sistema che, costantemente monitorato dagli specialisti, potrà contribuire a migliorare i processi di diagnosi e cura della malattia di Parkinson, che solo in Italia colpisce circa 300 mila persone. “Un numero – spiega la dott.ssa Lucia Florio, neurologa presso UCBM – destinato a raddoppiare nei prossimi 15 anni, mentre si abbassa l’età dei pazienti che ne sono affetti”.
Stimolazione cerebrale profonda per agire sui neuroni
Sul fronte terapeutico, il nostro Policlinico Universitario è in grado di gestire la fase di programmazione della stimolazione cerebrale profonda, una tecnica chirurgica che prevede l’impianto di elettrodi nel cervello e il loro collegamento a un generatore di impulsi elettrici (pacemaker) collocato all’altezza del torace. La stimolazione elettrica agisce sui neuroni contribuendo a ridurre per un lungo periodo i sintomi del Parkinson quali movimenti involontari e complicanze motorie.
“Nella fase avanzata della malattia – spiega il dott. Lazzaro di Biase, dottorando in Scienze dell’invecchiamento e della Rigenerazione tissutale presso UCBM – il paziente può presentare fluttuazioni della sintomatologia. Quando la terapia farmacologica non è sufficiente a controllare i sintomi, è necessaria una stimolazione continua dei neuroni, che può avvenire chimicamente, attraverso l’infusione sottocutanea di apomorfina o l’infusione intestinale di levodopa/carbidopa gel, oppure elettricamente. Oggi i dispositivi di ultima generazione di stimolazione cerebrale profonda possono offrire ai pazienti un recupero concreto e significativo della qualità di vita”.
Recuperare le funzioni motorie perse a seguito di un ictus attraverso l’esecuzione di giochi interattivi, con una grafica piacevole e sofisticati sistemi di controllo che semplificano la vita al fisioterapista nel percorso di riabilitazione. Un lavoro che, per la prima volta, è possibile svolgere direttamente a casa del paziente. È quanto promette Icone, primo prodotto lanciato da ICan Robotics, azienda spin-off del nostro Ateneo fondata da un gruppo di bioingegneri che hanno studiato proprio in UCBM.
Il dispositivo ha appena ricevuto dal Ministero della Salute il marchio CE per l’utilizzo medicale anche a domicilio. Icone, infatti, è un sistema estremamente compatto e trasportabile, non ha bisogno di essere montato e funziona attraverso un’interfaccia grafica touch molto semplice da utilizzare, sia per il fisioterapista sia per il paziente.
Essendo finora l’unico robot al mondo a poter essere impiegato anche al di fuori di ospedali o centri di riabilitazione, va direttamente incontro all’esigenza di attivazione di servizi di neuroriabilitazione domiciliare, con i benefici che ne conseguono sia sulla qualità di vita del paziente e dei suoi familiari o caregiver, sia sull’impatto economico per il Servizio Sanitario Nazionale.
Curarsi a casa seguiti da remoto
I numeri che riguardano la patologia sono, infatti, altissimi. L’ictus in Italia è la prima causa di invalidità, nonché la terza di morte. Secondo i dati dell’Associazione Lotta all’Ictus Cerebrale (ALICe, 2016) circa 913 mila italiani sono sopravvissuti a un ictus. La maggior parte di loro ha bisogno proprio di quelle terapie che attraverso Icone il medico può seguire anche a distanza. Il software infatti permette allo specialista fisiatra di consultare i progressi anche da remoto, ponendo il device nell’ampia frontiera dell’e-health: curarsi a casa senza rinunciare all’assistenza medica di un esperto certificato.
“Per ottenere questo risultato – spiega l’ing. Dino Accoto, docente UCBM e co-fondatore di Ican Robotics – c’è voluto un notevole livello d’innovazione tecnica, inseguita per anni da molti gruppi a livello internazionale, per via dell’impatto potenziale di questo tipo di sistema sulla qualità di vita dei pazienti e anche, ovviamente, sull’economia dell’SSN”.
L’azienda che ha progettato Icone, inoltre, è una realtà tutta italiana e ha l’obiettivo di rivoluzionare il concetto stesso di riabilitazione post-ictus e di terapie per problemi di motricità dell’arto superiore.
Ennio Morricone, genio indiscusso della musica classe 1928, il più grande compositore cinematografico degli ultimi decenni (due premi Oscar, tre Grammy Awards, dieci David di Donatello, undici Nastri d’Argento, un Golden Globe e un Leone d’Oro alla carriera), festeggia quest’anno il 60° anniversario da compositore e direttore d’orchestra con un tour mondiale. Tre saranno le tappe italiane: Roma, Verona, e Lucca. E senza dubbio porterà con sé sul palco e nel mondo un po’ del nostro Ateneo.
Facciamo un passo indietro. È la notte tra il 2 e il 3 agosto del 2015 e, all’età di 87 anni, Ennio Morricone si rompe il femore a seguito di una caduta accidentale. Tremano i fan e con loro anche il mondo del cinema, da Venezia a Hollywood. Qualche giorno dopo verrà operato all’interno del nostro Policlinico Universitario dal prof. Vincenzo Denaro, primario emerito di Ortopedia e Traumatologia. È la sera del 12 settembre 2015 e un uomo in carrozzina sale sul palco dell’Arena di Verona per dirigere il concerto davanti a 14.000 persone. È Ennio Morricone, il maestro, sul palco a soltanto un mese dall’operazione.
Al Foro Italico per aiutare la ricerca sulla colonna vertebrale
Per la tappa capitolina del suo tour mondiale, il prossimo 7 luglio, il Maestro ha deciso di donare i proventi al nostro Ateneo per sostenere la ricerca sulle cellule staminali per le malattie degenerative dell’apparato locomotore. L’Università Campus Bio-Medico nel cuore di Morricone. “Essere un medico – afferma il Maestro – è una missione incredibile. Nel Policlinico Universitario Campus Bio-Medico ho visto il prof. Denaro, gli altri medici e i loro collaboratori prendersi cura con grande attenzione di tutti i malati, compreso me. Se dovessi dedicare un mio brano al prof. Denaro sceglierei Mission, ma vorrei scrivere un pezzo proprio per lui, un brano che mi esca dal cuore”.
Terapie personalizzate a partire dal capello del paziente, grazie alla creazione in vitro di cellule neuronali. È la nuova frontiera della ricerca sull’autismo, che vede in prima linea l’Università Campus Bio-Medico di Roma e il King’s College di Londra.
La messa a punto di terapie personalizzate è quanto promette una mappatura sempre più dettagliata del genoma. Oggi questo è possibile grazie a una tecnica innovativa, conosciuta come ArrayCGH, ossia Comparative Genomic Hybridization, utilizzata presso i laboratori del Centro Mafalda Luce per i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo di Milano. È all’interno di questa struttura che la nostra Università svolge attività clinica e di ricerca sull’autismo. A breve, grazie al recente acquisto di un sequenziatore di nuova generazione, i ricercatori del Centro avvieranno l’attività di sequenziamento del DNA (Next Generation Sequencing, NGS), processo che permette a sua volta di individuare la causa genetica dell’autismo.
Un impegno dall’orizzonte internazionale
UCBM inoltre è entrata a far parte del Consorzio Mondiale dell’Autismo, coordinato dall’Università di New York Monte Sinai, che ha come scopo proprio il sequenziamento del genoma di soggetti autistici tramite NGS. Continua poi da parte dell’Ateneo l’impegno all’interno del NIDA (Network italiano per il riconoscimento precoce dei disturbi dello spettro autistico), mirato all’individuazione di atipicità evolutive già nel primo anno di vita di un bambino.
Nel prossimo triennio, i nostri ricercatori si occuperanno di identificare in modo sempre più approfondito mutazioni e varianti genetiche rare attraverso l’analisi del genoma di famiglie con bambini ad alto rischio. L’identificazione tempestiva delle varianti permetterà l’inserimento di questi bambini all’interno di un opportuno e mirato programma di intervento terapeutico sempre più efficace e personalizzato.
Presidente della Società Italiana di Chirurgia Vertebrale, il prof. Vincenzo Denaro, Primario Emerito dell’Unità Operativa Complessa di Ortopedia e Traumatologia del nostro Policlinico Universitario, è stato il primo in Italia a eseguire un intervento di stabilizzazione vertebrale con placche e viti.
“Era il 31 ottobre 1979 – racconta – ero rientrato in Italia dopo due anni trascorsi a Parigi come allievo del prof. Roy-Camille. Lui è il pioniere degli interventi di stabilizzazione della colonna, il primo ad aver messo a punto una tecnica per cui le vertebre possono essere operate e quindi contenute completamente attraverso l’inserimento di viti nelle vertebre stesse”.
Approccio etico e formazione polispecialistica
Le patologie legate alla colonna vertebrale sono di quattro tipi: traumatiche (dovute a fratture), neoplastiche (derivate da tumori), degenerative della colonna (ernia al disco, scivolamento vertebrale, deformità, scoliosi) e deformità post traumatiche. Gli interventi di stabilizzazione della colonna sono molto complessi e richiedono l’intervento di più specialisti.
Ogni anno presso il nostro Policlinico Universitario si effettuano circa 120 interventi alla colonna, di cui 70 di stabilizzazione. La loro riuscita è il prodotto di un accurato atto chirurgico e di un lavoro d’équipe multidisciplinare. Si può garantire infatti un buon risultato solo attraverso la collaborazione tra l’ortopedico e specialisti di diverse aree, che accompagnano il paziente prima, durante e dopo l’intervento così da ottenere un quadro clinico completo ed esaustivo.
“La collaborazione – conclude Denaro – è fondamentale per il successo dell’intervento, così come un approccio etico e una formazione polispecialistica”. Sono questi i principi messi in pratica per curare ogni paziente.
“Dopo l’intervento mi sento una nuova persona, con vent’anni in meno. Il dolore permanente di schiena, spalle e collo, così come quelli di testa (frequentissimi da più di 16 anni) sono spariti” è la testimonianza di una paziente che arriva da Gerusalemme.
Dona ora per la ricerca sulla colonna vertebrale