Prosegue il progetto di musicoterapia, iniziativa che ogni quarto giovedì del mese porta la musica tra i pazienti e il personale medico del nostro Policlinico Universitario. A suonare sarà stavolta il quartetto di sassofoni Hall Saxophone Quartet.

Protagonista del terzo appuntamento del 2018 con la musica nel nostro Policlinico Universitario sarà il trio d’archi formato da Ruggiero Sfregola, Ilona Balint e Francesco Di Donna.

Con questo appuntamento prosegue il progetto di musicoterapia che ogni quarto giovedì del mese allieta i pazienti e il personale medico.

Prosegue il progetto di musicoterapia, iniziativa che ogni quarto giovedì del mese porta la musica tra i pazienti e il personale medico del Policlinico Universitario. Protagonista stavolta il violoncello di Giacomo Menna.

Investire nel cambiamento

Progetti di ricerca, cattedre, corsi e master, aule multimediali, borse di studio per dottorandi, strumentazioni di laboratorio, contratti per ricercatori, strumenti diagnostici e chirurgici, reparti. Sono solo alcuni esempi concreti di ciò che potremo finanziare grazie alla donazione di 15 mila, 30 mila, 50 mila, 100 mila euro o più della tua azienda o fondazione.

La donazione non ha un valore esclusivamente filantropico: porta in sé i concetti di reciprocità, investimento e cambiamento. Effettuando una donazione all’Università Campus Bio-Medico di Roma o alla Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, contribuisci alla trasformazione positiva della comunità in cui vivi attraverso il lavoro quotidiano di chi si impegna in prima linea nella ricerca scientifica, nell’assistenza sanitaria e nella formazione universitaria.

Una donazione è importante, il sostegno continuo è indispensabile

Se scegli di donare in modo continuativo, sarà come averti al nostro fianco giorno dopo giorno. Potremo contare su risorse preziose per pianificare al meglio le nostre attività, garantendo così ai progetti di formazione, ricerca e assistenza clinica la possibilità di un miglioramento costante e continuo nel tempo.

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Un test per evitare gli effetti collaterali della chemioterapia

Dopo un intervento chirurgico per l’asportazione di un tumore al seno, il medico oncologo valuta l’opportunità di sottoporre la paziente a chemioterapia, analizzando fattori clinico-patologici (stato dei linfonodi, dimensioni e grado del tumore, età della paziente) e immunoistochimici (marcatori di proliferazione cellulare, espressione di recettori ormonali). Il kit diagnostico Prosigna™ offre allo specialista ulteriori informazioni utili a individuare i casi in cui la chemioterapia può essere evitata. Lo studio Nemesi (BMC Cancer, 2012), condotto da ricercatori italiani, ha infatti messo in evidenza che il trattamento chemioterapico – assieme ai suoi effetti collaterali – potrebbe essere in realtà evitato nel 25% dei casi.

Condotto nei laboratori dell’Unità Operativa di Anatomia Patologica della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, il test Prosigna™ permette di classificare i tumori al seno attraverso l’analisi di un complesso di 50 geni, dando così allo specialista la possibilità di personalizzare il percorso terapeutico delle pazienti. In particolare, consente di individuare i casi con bassa probabilità di recidiva nei dieci anni successivi all’intervento: a queste pazienti la chemioterapia può essere evitata.

Prosigna™ è un test prognostico con certificazione europea per il quale non è previsto rimborso dal Servizio Sanitario Nazionale. Il suo costo, 3 mila euro, è quindi a carico del paziente. Per questo la raccolta fondi si propone di consentire la fruibilità del test Prosigna™ a pazienti che non godono di disponibilità economiche atte a coprire i costi dell’esame.

Grazie a…

Nel triennio 2014-2016, l’azienda TCI Telecomunicazioni ha offerto gratuitamente 20 test Prosigna™ e Banca d’Italia 8, mentre l’associazione Il Sorriso di Gianluca ha finanziato una borsa di studio e l’acquisto di uno spettrofotometro.

L’obiettivo è ora continuare a offrire gratuitamente il maggior numero possibile di test Prosigna™ alle pazienti, e mantenere la sostenibilità del progetto (il costo della strumentazione è di 30 mila e 500 euro annui). Poter continuare a raccogliere statistiche è inoltre fondamentale per l’avanzamento della ricerca scientifica sul tumore del seno.

Il tumore più frequente nelle donne

Nelle donne, più di 4 tumori su 10 riguardano il seno: il carcinoma mammario è la patologia neoplastica a più alta prevalenza tra le donne. Attualmente in Italia vivono oltre 830 mila donne che hanno avuto una diagnosi di tumore al seno. Quasi 56.000 solo nel 2022.

Il notevole tasso di incidenza del tumore al seno sembra dovuto a cambiamenti nelle abitudini di vita e a mutamenti negli schemi sociologici. Si stima infatti che l’aumento del peso corporeo e l’inattività fisica, il fumo e l’alimentazione non corretta siano alcuni dei fattori di rischio che possono incidere fino al 25-33% nei casi di carcinoma alla mammella.

Al contrario, alcune ricerche hanno dimostrato che l’attività fisica riduce il rischio di sviluppare il tumore al seno e la percentuale di mortalità dopo la diagnosi.

L’impegno della nostra Breast Unit

Il tema dell’incidenza del cancro al seno nelle donne è una sfida sanitaria non più dilazionabile. La Breast Unit della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico è costantemente impegnata non solo a garantire livelli assistenziali di elevata qualità, ma anche a contribuire in modo significativo alla lotta al carcinoma mammario attraverso la ricerca scientifica.

Il suo interesse è sempre rivolto ad ambiti innovativi: le nuove frontiere del trattamento personalizzato del tumore al seno, lo studio del comportamento biologico dei tumori e delle cellule tumorali circolanti, il supporto clinico-scientifico del rischio eredo-familiare nella popolazione ad alto rischio, le nuove metodiche per combattere l’alopecia chemio-indotta.

Individuata nel 2016 dalla Regione Lazio come centro di riferimento per la diagnosi e il trattamento del tumore al seno, la nostra Breast Unit si avvale di un team specialistico interdisciplinare guidato dal prof. Vittorio Altomare. In autunno, promuove la pedalata solidale Bicinrosa, per sottolineare l’importanza della prevenzione attraverso lo sport e una dieta sana.

Prevenire il tumore al polmone analizzando il respiro

In Italia, l’incidenza del tumore del polmone è di oltre 38 mila casi l’anno per gli uomini e di più di 8 mila per le donne. Si tratta di una delle neoplasie più subdole, perché difficilmente si manifesta nei primi stadi. Nel 76% dei casi, la diagnosi viene effettuata quando il paziente presenta già i sintomi della malattia: tosse, perdite di sangue con i colpi di tosse, difficoltà respiratorie, dolore al torace.

Negli ultimi decenni si sono tentate diverse strade per la diagnosi precoce, come l’esame dell’espettorato o la comune radiografia del torace, ma con scarso successo. Da qualche anno sono disponibili nuovi strumenti di diagnostica per immagini in grado di visualizzare tumori di dimensioni millimetriche, come la TC spirale, ma ancora non basta.

Un sistema innovativo, economico e non invasivo

Un progetto pilota del nostro ateneo ha dimostrato l’efficacia di un innovativo sistema di misurazione delle caratteristiche del respiro per diagnosticare il tumore al polmone.

Questo permetterebbe in particolare di sottoporre a esame fasce di popolazione finora escluse dallo screening preventivo: grazie alla totale innocuità del test, che non utilizza l’emissione di radiazioni, sarebbero esaminabili infatti non più solo i grandi fumatori sopra i 55 anni, ma anche i fumatori sporadici e, soprattutto, i giovani. Un sistema diagnostico peraltro più economico e meno invasivo della TC, e che già permette di ridurre il numero di falsi positivi.

I risultati ottenuti su cento soggetti a rischio over 55 hanno identificato correttamente la neoplasia nell’86% dei casi e hanno valutato correttamente i soggetti sani nel 95%, con appena il 5% di falsi positivi: “Un tasso decisamente minore rispetto al 36% della nostra casistica con TC a basso dosaggio di radiazioni”, sottolinea il dott. Pierfilippo Crucitti, responsabile dell’UOS di Chirurgia Toracica della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico.

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Pneumopipe, la “pipa” che cattura il respiro

Le rilevazioni dello studio sono state effettuate grazie a una catena di misurazione in grado di ‘afferrare’, acquisire, immagazzinare e conservare il respiro. Un progetto che è il frutto del lavoro dell’équipe di Elettronica per Sistemi Sensoriali del nostro ateneo.

Spiega il prof. Giorgio Pennazza, docente di Elettronica: “Abbiamo utilizzato il dispositivo Pneumopipe, una sorta di grande pipa da noi sviluppata e brevettata, in grado di catturare le particelle organiche volatili (VOCs) del respiro umano. Il paziente può respirarvi all’interno senza sforzo per circa tre minuti, riempiendo una cartuccia delle dimensioni di una penna a sfera e in grado di incamerare e conservare l’esalato specifico di ciascun soggetto”.

Bionote, lo strumento che esamina il respiro

La valutazione dei campioni di esalato è stata quindi effettuata mediante Bionote, strumento capace, attraverso speciali filtri, di esaminare nel dettaglio le caratteristiche dei composti volatili costituitivi del respiro dei pazienti. L’accoppiata tecnologica Pneumopipe-Bionote potrebbe quindi costituire il futuro della diagnosi precoce del tumore del polmone.

Cento casi sono ancora troppo pochi per mettere in discussione l’efficacia dell’attuale standard diagnostico, ma i risultati della ricerca sono più che incoraggianti, tanto che – per confermare i dati finora raccolti e pubblicati sull’European Journal of Cardio-Thoracic Surgery – è già in corso una seconda sperimentazione su un numero più significativo di pazienti.

Diagnosticare il tumore fin dalle primissime fasi

È questa la sfida: identificare un numero sempre maggiore di pazienti con cancro nelle primissime fasi. In questi casi infatti, un intervento chirurgico di rimozione della parte di polmone interessata dal tumore e dei linfonodi circostanti consente, in genere, di ottenere la completa guarigione. Grazie alla chirurgia mininvasiva, inoltre, il paziente dopo pochi giorni di degenza può tornare a casa e riprendere velocemente le attività quotidiane. Non è neanche necessario che si sottoponga a cicli di radio o chemioterapia.

Cellule staminali per bloccare la degenerazione del disco

Non si sente spesso parlare di ricerca sulla colonna vertebrale, ma le patologie che colpiscono quest’ultima sono una delle cause più frequenti di invalidità tra le persone in età lavorativa.

Nella maggior parte dei casi è la lesione del disco intervertebrale a causare artrosi, ernie del disco, instabilità e perdita dei rapporti tra le vertebre. Un danno che si manifesta con la perdita dell’acqua e delle sostanze contenute in questo vero e proprio ammortizzatore che permette di ricevere i pesi caricati sulla colonna vertebrale.

Per questo, l’obiettivo della ricerca sulla colonna vertebrale condotta dalla nostra Unità di Ricerca di Ortopedia è reidratare il nucleo del disco attraverso il contatto con le cellule staminali.

Una cell factory per la ricerca sulla colonna vertebrale

Dopo una prima fase sperimentale, i nostri ricercatori stanno ora perfezionando tecniche microchirurgiche per bloccare la degenerazione del disco danneggiato. Tuttavia la quantità di cellule staminali prelevabili da un individuo è ridotta: per questo occorre favorire la loro riproduzione prima dell’impianto.

La ricerca sulla colonna vertebrale UCBM punta allora a creare un ambiente di riproduzione cellulare, una cell factory in house che, al costo di 300 mila euro, permetterà la sperimentazione su 15 individui nei prossimi 2 anni, all’interno di un progetto multicentrico internazionale.

Un obiettivo ambizioso, ma fondamentale per la ricerca sulla colonna vertebrale e di conseguenza per la salute di molti. Una sfida cui ha già contribuito anche la grande generosità del Maestro Ennio Morricone, ma per la quale c’è ancora bisogno del tuo sostegno.

Tornare alla normalità dopo un ictus

L’ictus in Italia colpisce una persona ogni tre minuti. È la terza causa di morte e la prima di disabilità per la popolazione adulta. Dopo un ictus la riabilitazione neuromotoria permette di ottenere importanti miglioramenti, ma spesso il recupero è incompleto. Per questo la ricerca sull’ictus è fondamentale.

Stimolazione nervosa non invasiva, robot e realtà virtuale

Da anni la nostra ricerca sull’ictus è impegnata in campo neurologico, fisiatrico e bio-ingegneristico a sviluppare approcci innovativi per il recupero funzionale a seguito dell’ictus.

“Partendo da studi sulle tecniche di stimolazione nervosa non invasiva, come quella cerebrale elettromagnetica e quella vagale transcutanea, stiamo mettendo a punto protocolli innovativi per potenziare le capacità di recupero del cervello umano dopo un ictus”. È il prof. Vincenzo Di Lazzaro, Primario di Neurologia, a spiegare lo stato di avanzamento della ricerca, che prevede tra l’altro – accanto alla stimolazione nervosa non invasiva – l’ausilio di sistemi robotici e dispositivi connessi alla realtà virtuale.

Facilitare il recupero post ictus

In particolare, i protocolli innovativi messi a punto dai nostri ricercatori partono da studi iniziali molto promettenti e puntano a caratterizzare da un punto di vista funzionale il danno cerebrale conseguente all’ictus, individuando le strutture sopravvissute e potenziandone la funzione.

L’obiettivo è migliorare le performance motorie e il recupero dell’autonomia nella quotidianità, per consentire un più adeguato reinserimento sociale e familiare del paziente.

L’impegno dei nostri ricercatori contro le patologie della terza età

Ictus, mal di schiena, ischemia cerebrale, Parkinson, Alzheimer. Le patologie legate all’avanzare degli anni sono numerose e possono danneggiare la qualità della vita in modo anche grave.

Migliorare la qualità della vita degli anziani è un impegno prioritario dei nostri ricercatori. Uno sforzo trasversale che vede in prima linea le Unità di Ricerca di Neurologia, Ortopedia e Traumatologia, Medicina fisica e riabilitativa, Robotica biomedica e Biomicrosistemi.

La scoperta dei meccanismi all’origine dell’Alzheimer

Secondo un nostro studio, già confermato da una sperimentazione su pazienti svolta dall’Università di Sheffield, l’origine del morbo dell’Alzheimer non risiede nella parte del cervello legata alla memoria, ma in quella deputata all’umore. La scoperta ha fatto ben presto il giro del mondo, aprendo una nuova frontiera per la cura. Ora siamo impegnati a valutare l’efficacia della musica nella lotta contro il morbo”.

Prof. Marcello D’Amelio,
Responsabile Unità di Ricerca di Neuroscienze molecolari

Un laboratorio per prevenire le cadute

“Grazie a un laboratorio per la valutazione della deambulazione e a un ambulatorio e una palestra dedicati alla valutazione e al trattamento del rischio di caduta e al training per l’equilibrio, stiamo sviluppando due progetti di ricerca volti al miglioramento delle difficoltà del cammino e alla prevenzione delle cadute nella popolazione anziana”.

Prof.ssa Silvia Sterzi,
Primario di Medicina fisica e riabilitazione

Stimolazione nervosa per il recupero post ictus

“L’ictus è una patologia molto frequente e rappresenta la prima causa di disabilità per la popolazione adulta. Partendo da studi sulle tecniche di stimolazione nervosa non invasiva di recente introduzione – come la stimolazione cerebrale elettromagnetica e la stimolazione vagale transcutanea – stiamo mettendo a punto protocolli innovativi per potenziare le capacità di recupero del cervello umano dopo un ictus”.

Prof. Vincenzo Di Lazzaro,
Primario di Neurologia

Cellule staminali contro il mal di schiena

“La terapia con le cellule staminali dell’adulto ha mostrato di essere efficace su modelli sperimentali. I nuovi studi in programma hanno quindi l’obiettivo di traslare il trattamento rigenerativo sull’uomo, per prevenire l’insorgenza delle evoluzioni più gravi della patologia del mal di schiena nell’anziano”.

Prof. Vincenzo Denaro,
Primario Emerito di Ortopedia e Traumatologia