Un assistente virtuale per i pazienti affetti da malattia di Parkinson, attivo 24 ore al giorno, 7 giorni su 7. “Il Neurologo risponde” è il prototipo sviluppato grazie alla collaborazione tra il nostro Ateneo e IBM e presentato in occasione della Giornata Nazionale per il Parkinson, iniziativa alla quale ha aderito anche il nostro Policlinico Universitario.

Il software utilizzerà sistemi d’intelligenza artificiale (IBM Watson) per assistere la persona affetta da Parkinson nella gestione ordinaria della patologia, dando consigli utili e rispondendo alle domande che gli saranno poste. Pazienti ma anche familiari e caregivers potranno in tempo reale soddisfare curiosità sulla malattia e avere risposte a dubbi sul trattamento farmacologico.

Un sistema che, costantemente monitorato dagli specialisti, potrà contribuire a migliorare i processi di diagnosi e cura della malattia di Parkinson, che solo in Italia colpisce circa 300 mila persone. “Un numero – spiega la dott.ssa Lucia Florio, neurologa presso UCBM – destinato a raddoppiare nei prossimi 15 anni, mentre si abbassa l’età dei pazienti che ne sono affetti”.

Stimolazione cerebrale profonda per agire sui neuroni

Sul fronte terapeutico, il nostro Policlinico Universitario è in grado di gestire la fase di programmazione della stimolazione cerebrale profonda, una tecnica chirurgica che prevede l’impianto di elettrodi nel cervello e il loro collegamento a un generatore di impulsi elettrici (pacemaker) collocato all’altezza del torace. La stimolazione elettrica agisce sui neuroni contribuendo a ridurre per un lungo periodo i sintomi del Parkinson quali movimenti involontari e complicanze motorie.

“Nella fase avanzata della malattia – spiega il dott. Lazzaro di Biase, dottorando in Scienze dell’invecchiamento e della Rigenerazione tissutale presso UCBM – il paziente può presentare fluttuazioni della sintomatologia. Quando la terapia farmacologica non è sufficiente a controllare i sintomi, è necessaria una stimolazione continua dei neuroni, che può avvenire chimicamente, attraverso l’infusione sottocutanea di apomorfina o l’infusione intestinale di levodopa/carbidopa gel, oppure elettricamente. Oggi i dispositivi di ultima generazione di stimolazione cerebrale profonda possono offrire ai pazienti un recupero concreto e significativo della qualità di vita”.

Il contatto skin to skin tra la madre e il bimbo appena nato è più efficace dell’incubatrice. Lo conferma il progetto di ricerca in neonatologia condotto da Giulia Spina in Uganda e argomento della sua tesi di laurea discussa lo scorso luglio.

Il progetto, condiviso in Africa con la collega e amica Costanza Cutrona e sostenuto dal prof. Pietro Ferrara, relatore della tesi, dalla dott.ssa Laura Andrissi, dal prof. Massimo Ciccozzi e dalla dott.ssa Francesca Farchi, è ora in fase di pubblicazione, avendo fornito risultati di notevole interesse.

Il contatto a pelle stimola l’allattamento e quindi la crescita del bambino – spiega Giulia –. Un aspetto che si è rivelato fondamentale in un contesto rurale come quello africano. Anche perché i benefici più rilevanti per i neonati riguardano il mantenimento della temperatura corporea e la conseguente riduzione dell’ipotermia e dell’ipoglicemia neonatali, complicanze facilmente gestibili in Paesi avanzati, ma completamente fuori controllo altrove”. È in questo secondo caso quindi che lo studio di Giulia e Costanza può risultare di vitale importanza per ridurre la mortalità infantile.

L’esperienza formativa della giovane, che si era già recata in Kenya nel 2011, non si è tuttavia limitata al progetto di ricerca per la tesi di laurea: “Dove c’è poca forza lavoro – spiega – vieni per forza valorizzato. Per questo ho fatto tanta pratica e sono cresciuta moltissimo. La cosa più bella poi è stata poter lasciare qualcosa di importante all’ospedale, insegnando da zero a tutto il personale della sala di ostetricia l’intera procedura, a partire dai valori da tenere monitorati”. Nel frattempo, sempre insieme a Costanza, organizza raccolte fondi a favore dell’Ambrosoli Memorial Hospital e aggiunge, illuminandosi in volto: “Tra due anni, da specializzanda, potrò essere ancora più utile”.

Il Centro Ascolto VoiNoi è presente nel nostro Policlinico Universitario come servizio di orientamento, sostegno psicologico individuale e di gruppo, educazione alla salute e formazione. Obiettivo, sostenere i caregiver nel loro compito assistenziale.

Nasce proprio dalla sua esperienza maturata nel corso degli anni la Carta dei Diritti del Caregiver Familiare. Un decalogo che desidera tutelare, supportare e rafforzare il ruolo e l’attività di assistenza che le famiglie svolgono a sostegno dei propri cari, in condizioni di fragilità. Eccolo.

La Carta dei Diritti del Caregiver Familiare

Il caregiver familiare ha diritto a:

  • Ricevere informazioni adeguate sulla malattia e sui trattamenti proposti, affinché possa partecipare consapevolmente alle decisioni riguardanti la salute del proprio familiare.
  • Ricevere dall’équipe curante tutte le informazioni necessarie per assistere al meglio il proprio caro.
  • Ottenere informazioni chiare ed esaustive al fine di usufruire di tutti i servizi territoriali utili nella cura del familiare.
  • Legittimare i propri sentimenti: lungo il percorso di assistenza al proprio caro è normale sentirsi affaticati, tristi, nervosi o in difficoltà.
  • Prendersi cura di sé: “Devo ricordare che tutto ciò che di bello e piacevole potrò fare per me ricadrà positivamente anche sul mio familiare”.
  • Riconoscere i propri limiti e capacità: “Non posso pretendere di saper fare tutto o di riuscire bene in ogni cosa, accettare i propri limiti vuol dire imparare a scoprire anche le proprie risorse”.
  • Mantenere degli spazi di vita per sé: “Poiché faccio tutto il possibile per il mio caro, allo stesso modo devo farlo per me”.
  • Chiedere e ricevere aiuto: è importante riconoscere i propri bisogni e quelli del proprio caro imparando a delegare.
  • Tutelare la propria salute: avere un’alimentazione sana, mantenere un numero di ore di riposo adeguate, sottoporsi ai controlli medici di routine. Oltre che un diritto, è un dovere necessario a sostenere adeguatamente il carico assistenziale.
  • Accedere a servizi sanitari di alta qualità, sulla base della definizione e del rispetto di precisi standard.

Ennio Morricone, genio indiscusso della musica classe 1928, il più grande compositore cinematografico degli ultimi decenni (due premi Oscar, tre Grammy Awards, dieci David di Donatello, undici Nastri d’Argento, un Golden Globe e un Leone d’Oro alla carriera), festeggia quest’anno il 60° anniversario da compositore e direttore d’orchestra con un tour mondiale. Tre saranno le tappe italiane: Roma, Verona, e Lucca. E senza dubbio porterà con sé sul palco e nel mondo un po’ del nostro Ateneo.

Facciamo un passo indietro. È la notte tra il 2 e il 3 agosto del 2015 e, all’età di 87 anni, Ennio Morricone si rompe il femore a seguito di una caduta accidentale. Tremano i fan e con loro anche il mondo del cinema, da Venezia a Hollywood. Qualche giorno dopo verrà operato all’interno del nostro Policlinico Universitario dal prof. Vincenzo Denaro, primario emerito di Ortopedia e Traumatologia. È la sera del 12 settembre 2015 e un uomo in carrozzina sale sul palco dell’Arena di Verona per dirigere il concerto davanti a 14.000 persone. È Ennio Morricone, il maestro, sul palco a soltanto un mese dall’operazione.

Al Foro Italico per aiutare la ricerca sulla colonna vertebrale

Per la tappa capitolina del suo tour mondiale, il prossimo 7 luglio, il Maestro ha deciso di donare i proventi al nostro Ateneo per sostenere la ricerca sulle cellule staminali per le malattie degenerative dell’apparato locomotore. L’Università Campus Bio-Medico nel cuore di Morricone. “Essere un medico – afferma il Maestro – è una missione incredibile. Nel Policlinico Universitario Campus Bio-Medico ho visto il prof. Denaro, gli altri medici e i loro collaboratori prendersi cura con grande attenzione di tutti i malati, compreso me. Se dovessi dedicare un mio brano al prof. Denaro sceglierei Mission, ma vorrei scrivere un pezzo proprio per lui, un brano che mi esca dal cuore”.

“La vita è come un respiro: un momento, e tutto può cambiare all’improvviso. Adesso sono qui e lo posso raccontare. Voglio gridare al mondo quanto sia importante la prevenzione e dire grazie a un Respiro per la Vita”. La testimonianza di Anna, 61 anni, salva grazie al programma di screening del tumore al polmone condotto dal nostro Policlinico Universitario, ha raggiunto i 1.200 spettatori che al Teatro Sistina di Roma hanno assistito lo scorso 3 maggio allo spettacolo Un Respiro per la Vita.

La testimonianza di Anna non è stata l’unica. Nella sua lettera Lucio, 63 anni, ha ricordato le parole del prof. Pierfilippo Crucitti, responsabile dell’Unità di Chirurgia Toracica, dopo l’intervento: “‘Lei è un uomo fortunato’, mi ha detto. Ho pensato: ‘Ma come? Ho un tumore al polmone e la chiami fortuna?’ Ma aveva ragione. Il tumore era al primo stadio, è stato preso in tempo. Adesso sto bene”.

Tanti volti noti per la diagnosi precoce

A sostenere l’intera serata, organizzata da UCBM in collaborazione con l’Associazione Amici dell’Università Campus Bio-Medico Onlus, tanti ospiti sul palco: accanto a Pippo Baudo e Lorella Cuccarini, che hanno condotto il charity show, Rita Dalla Chiesa, madrina dell’evento, Vittoria Belvedere, Giorgio Borghetti e Maria Grazia Cucinotta, che hanno dato voce alle lettere dei pazienti. E ancora Al Bano, Gigi D’Alessio, Anna Tatangelo, Peppino Di Capri, Gabriella Germani, Edoardo Vianello, Remo Pannain, Opera Pop, la Banda Musicale della Polizia di Stato e i calciatori Kōstas Manolas e Kevin Strootman.

“Nel tumore al polmone – ha ricordato Crucitti – la diagnosi precoce è tutto. Permette la sopravvivenza in circa il 90% dei casi”. Gli hanno fatto eco le parole di Luciana, 57 anni: “Anche un semplice sguardo può essere di grande aiuto per affrontare quell’orribile mostro che è la malattia”.

L’Università Campus Bio-Medico di Roma rafforza la propria apertura al mondo e, in particolare, al continente africano: lo scorso novembre ha firmato un memorandum of understanding per intraprendere, nei prossimi cinque anni, un progetto di cooperazione internazionale in Tanzania. Obiettivo, lo sviluppo di progetti educativi sul fronte agro-alimentare e la creazione di micro-imprese agricole in un quadrante particolarmente povero e arretrato del Paese africano, attorno al monastero benedettino di Mvimwa, a 100 chilometri dal lago Tanganica.

L’accordo, sottoscritto con il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia agraria (CREA), l’Università di Parma, l’Associazione ‘Golfini Rossi’ Onlus e due atenei africani – la Strathmore University (Kenya) e la St. Joseph University (Tanzania) – consentirà di approfondire scientificamente le abitudini alimentari dei circa 20 mila abitanti della zona. Un territorio che comprende dieci villaggi limitrofi al monastero e in cui si vogliono ora sviluppare progetti di educazione alimentare e alla salute, per migliorare le possibilità di reperimento, produzione, utilizzo e conservazione degli alimenti.

Incidere sul futuro alimentare e agrario

Tra il personale sanitario dei partner coinvolti, l’ospedale pubblico del capoluogo e i dispensari dei villaggi è nata una proficua collaborazione sui temi di malnutrizione e di salute. La ‘pappa di Parma’, formulazione a base di alimenti tipici africani ideata dall’Università di Parma, è stata proposta come utile alternativa per la malnutrizione infantile. Nel contempo, l’obiettivo è anche quello di favorire la nascita di micro-imprese agricole e di incentivare la bio-edilizia per incidere positivamente sulla qualità della vita e della salute della popolazione.

“Già durante quest’anno – precisa la prof.ssa Laura De Gara, delegata del Corso di Laurea magistrale in Scienze dell’Alimentazione e della Nutrizione umana – grazie alla collaborazione di 12 studenti del nostro ateneo, abbiamo iniziato a valutare con test specifici fabbisogni e carenze nutrizionali della popolazione, definendo anche gli standard raggiungibili di qualità delle cucine e delle mense. Inoltre, con il contributo del CREA, abbiamo testato l’efficacia dell’utilizzo di essiccatori a pannelli solari per offrire agli abitanti una miglior conservazione del cibo e abbiamo valutato la qualità dei terreni coltivabili. Grazie alla partnership avviata con la firma di questo memorandum, contiamo di poter continuare a lavorare per incidere in modo significativo sul futuro alimentare e agrario degli abitanti presenti nell’area del monastero”.

Presidente della Società Italiana di Chirurgia Vertebrale, il prof. Vincenzo Denaro, Primario Emerito dell’Unità Operativa Complessa di Ortopedia e Traumatologia del nostro Policlinico Universitario, è stato il primo in Italia a eseguire un intervento di stabilizzazione vertebrale con placche e viti.

“Era il 31 ottobre 1979 – racconta – ero rientrato in Italia dopo due anni trascorsi a Parigi come allievo del prof. Roy-Camille. Lui è il pioniere degli interventi di stabilizzazione della colonna, il primo ad aver messo a punto una tecnica per cui le vertebre possono essere operate e quindi contenute completamente attraverso l’inserimento di viti nelle vertebre stesse”.

Approccio etico e formazione polispecialistica

Le patologie legate alla colonna vertebrale sono di quattro tipi: traumatiche (dovute a fratture), neoplastiche (derivate da tumori), degenerative della colonna (ernia al disco, scivolamento vertebrale, deformità, scoliosi) e deformità post traumatiche. Gli interventi di stabilizzazione della colonna sono molto complessi e richiedono l’intervento di più specialisti.

Ogni anno presso il nostro Policlinico Universitario si effettuano circa 120 interventi alla colonna, di cui 70 di stabilizzazione. La loro riuscita è il prodotto di un accurato atto chirurgico e di un lavoro d’équipe multidisciplinare. Si può garantire infatti un buon risultato solo attraverso la collaborazione tra l’ortopedico e specialisti di diverse aree, che accompagnano il paziente prima, durante e dopo l’intervento così da ottenere un quadro clinico completo ed esaustivo.

“La collaborazione – conclude Denaro – è fondamentale per il successo dell’intervento, così come un approccio etico e una formazione polispecialistica”. Sono questi i principi messi in pratica per curare ogni paziente.

“Dopo l’intervento mi sento una nuova persona, con vent’anni in meno. Il dolore permanente di schiena, spalle e collo, così come quelli di testa (frequentissimi da più di 16 anni) sono spariti” è la testimonianza di una paziente che arriva da Gerusalemme.

 

Dona ora per la ricerca sulla colonna vertebrale

Due settimane di workcamp in Camerun, ospiti del piccolo ospedale delle Suore della carità di S. Giovanna Antida. Il prof. Marco Caricato, lo specializzando Luca Improta, l’anestesista Ferdinando Longo e l’infermiere Fabrizio Burgio sono stati accolti a circa 800 chilometri da Yaoundè, la capitale, nell’ospedale SJAT di Gala Gala.

Un centro nuovo, inaugurato nell’aprile 2016 e “attrezzato meglio di quanto si possa in genere trovare in Africa”. Un ospedale con un blocco operatorio funzionante, due ginecologi e un infermiere di anestesia che, spiega suor Maria Grazia, direttore generale dell’ospedale, “non negano le cure a nessuno: aiuti e donazioni sono ancora fondamentali, nell’attesa che la struttura possa raggiungere l’indipendenza economica”.

Due settimane di lavoro a Gala Gala

Il racconto del team comincia purtroppo con la morte di Sylvie, giovane donna per la cui vita tanto è stato fatto, ma invano: “La riportiamo in stanza, dai suoi cari, la guardiamo spegnersi. Il morale è a terra, la rabbia tanta e la sofferenza dei familiari è lacerante. A cena, tutti insieme riflettiamo su come riuscire a cambiare qualcosa. Il lavoro appare immenso, i mezzi miseri, ma la forza di chi è qui da sempre riesce a riaccendere una speranza. Arriviamo alla conclusione che l’unica soluzione possibile per costruire qualcosa di duraturo è garantire mezzi e formazione costanti, senza avere fretta di raccoglierne i frutti”.

Per questo, nelle due settimane di permanenza in Camerun non sono mancati consigli di tecnica chirurgica, approfondimenti sull’uso del defibrillatore, spiegazioni e presentazioni rivolte al personale locale. Concludono i partecipanti: “È stato un arrivederci tra amici: questo progetto deve andare avanti”.

Acqua, zucchero a velo e miele sono i principali ingredienti della pasta di zucchero, l’impasto commestibile che, sapientemente plasmato con mani e utensili specifici, abbellisce torte e dolci attraverso decorazioni colorate e creative. E proprio questa particolare ricetta, resa celebre dai talent televisivi dedicati alla pasticceria, è stata alla base del corso di cake design proposto presso il Polo Hotel dall’Associazione Amici dell’Università Campus Bio-Medico di Roma Onlus. Cinque lezioni amatoriali cui le partecipanti hanno potuto iscriversi versando un donativo destinato alla prevenzione e diagnosi precoce del tumore al seno nelle giovani donne.

Regalati il futuro, questo nello specifico il progetto di screening gratuiti (visita senologica, mammografia ed ecografia) sostenuto dal corso e realizzato in collaborazione con l’Unità Operativa di Senologia del nostro Policlinico Universitario.

Acqua e zucchero per salvare la vita

Una ricetta vincente, poiché proprio grazie a quest’iniziativa una giovane donna ha scoperto in tempo di essere colpita dal carcinoma mammario, dando così ai medici la possibilità di intervenire salvandole la vita. Una vicenda a lieto fine che, senza l’invito ad accedere gratuitamente a questo tipo di controllo, si sarebbe purtroppo potuta concludere anche in modo drammatico. La conferma che basta davvero poco per salvare una vita. Giusto un po’ di acqua e zucchero.

Prosegue il progetto di musicoterapia, iniziativa che ogni quarto giovedì del mese porta la musica tra i pazienti e il personale medico del nostro Policlinico Universitario. A suonare sarà stavolta Valter Dadone, diplomato in corno al Conservatorio di Torino e specializzato in musicoterapia.